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Casagrande: "Suono i miei 50 anni e da grande voglio fare il regista"

Lʼattore napoletano racconta a Tgcom24 i nuovi progetti tra teatro, cinema e web

Maurizio Casagrande porta in scena i suoi 50 anni con lo spettacolo "E la musica mi gira intorno", al Teatro Golden di Roma fino al 17 aprile e intanto coltiva la nuova avventura da regista con un progetto indipendente dedicato all'autismo.

Una web serie scritta da giovani autori campani che Casagrande ha sposato pro bono e con entusiasmo, perché, racconta a Tgcom24, "mi ha colpito e ho voglia di passare dall'altra parte della telecamera".

A novembre compirà 50 anni e per festeggiare Maurizio Casagrande si è inventato uno spettacolo teatrale dove racconta la sua vita tra recitazione e musica - le passioni di sempre - e suona la batteria. Uno show in cui ripercorre il passato, pensando al futuro e al nuovo punto di vista con cui approcciarsi allo spettacolo: la regia, alla quale si è dedicato con "Quello che vedo", una web serie scritta da tre giovani autori campani, Laura Pepe, Maia Salvato e Vincenzo Catapano, che ne è anche interprete, nel ruolo di Filippo Balestrieri, un ragazzo di 25 anni affetto da autismo. Un progetto ambizioso che vanta la partecipazione non solo di Casagrande, ma di importanti attori napoletani, a partire da Fabio Fulco, nel ruolo del papà di Filippo, Carlo, e Tiziana De Giacomo.

Partiamo dal suo spettacolo teatrale, come è nata l'idea?
Da un gioco con un amico in treno: Leggemmo una frase da qualche parte: "Un uomo senza passato è un uomo senza futuro". Allora questo mio amico mi disse: "Tu praticamente sei morto", perché io non mi ricordo mai niente. Da questa riflessione, ho voluto dare un sguardo al mio passato, per tirare un po' le somme di certe cose e ho voluto farlo attraverso le canzoni. E' una casagrandata, uno show per far divertire la gente e mi ha permesso di recuperare una delle cose più importanti della mia vita, la musica. Prima di fare l'attore, ero musicista e quando nello show racconto gli anni 70, il pubblico mi vede in una veste diversa: suono la batteria. Sono un rockettaro che non disdegna la lirica e detesto le cose fatte con lo stampino.

Cosa l'ha convinta ad accettare la regia di "Quello che vedo"?
Di partenza sono stato coinvolto da istituzioni che avevano fatto delle promesse, poi non mantenute. Ma ormai avevo conosciuto Laura, Maia e Vincenzo e il loro progetto. Mi piaceva il fatto che l'autismo fosse raccontato non con lo sguardo di chi il problema lo subisce in maniera senziente, tipo un genitore o un familiare, ma dal fratellino piccolo, che vede un fratello più grande circondato da tante attenzioni e si chiede come mai lui che è piccolo deve fare da solo e il fratello più grande deve essere sempre aiutato. Questa cosa mi ha molto colpito. È un bel modo di guardare al problema perché poi il bimbo capisce pian piano quanto sia importante dare una mano al fratello più grande. È una bella metafora per spiegare al mondo che per essere un Paese civile bisogna sempre e comunque aiutare chi ha un handicap.

Perché secondo lei questo progetto è importante?
L'autismo è un problema drammaticamente in crescita. Bisogna farlo conoscere. Stando a contatto con le strutture che si occupano del problema, ho visto quanto è importante dare una mano vera, scientifica, ai malati, perché più tardi si interviene e peggio è e questo mi ha molto colpito. Ho partecipato a "Quello che vedo" in maniera del tutto gratuita. Mi piace dirlo perché penso che bisognerebbe dare una mano maggiore a chi fa progetti del genere. E' importante.

A maggio terminerà la sua tournée in teatro. Tornerà in tv o al cinema?
Guarda, ho diretto "Quello che vedo", facendo solo una piccola apparizione, per dedicarmi interamente alla regia del progetto, perché negli anni questo punto di vista nuovo del fare spettacolo mi interessa sempre di più. Sono scaramantico, non racconto mai progetti quando non sono concreti al 100%. Diciamo che nel futuro c'è cinema e mi piacerebbe passare anche dall'altra parte.