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Jack Savoretti: "Basta cantautori folk con la chitarrina, ora ci metto un poʼ di ritmo"

Lʼartista italo-inglese pubblica "Written In Scars", lavoro per il quale ha collaborato con Sam Dixon (Adele) senza dimenticare la lezione di Fabrizio De André

jack savoretti milano
tgcom24

Si intitola "Written In Scars" il nuovo album di Jack Savoretti, anticipato dal singolo "Home", in rotazione nelle radio da gennaio. Per l'artista italo-inglese si tratta di un lavoro di svolta. "Il cantautore non è solo uno con la chitarra acustica - dice a Tgcom24 -. Nell'album ho voluto mettere ritmi vari, riferimenti tribali". E c'è anche un po' di Italia: "Mi sono ispirato al cantautorato genovese e al De André di Crueza de ma e Anime salve".

Jack Savoretti: "Basta cantautori folk con la chitarrina, ora ci metto un poʼ di ritmo"

Si possono mettere insieme Adele e Fabrizio De André, Faithless e Bob Dylan? Sì se si ha un'idea di cantautorato svincolata dai consueti cliché. Così Jack Savoretti si è messo al lavoro con due produttori come Sam Dixon (che oltre a produrre Adele è anche il co-autore principale di Sia) e Matt Benbrook per dare vita a un album che esplorasse nuove sonorità. Anche per questo le canzoni sono nate in modo anomalo, per una volta non scritte a partire dalla melodia ma dalle ritmiche, come a sottolineare la voglia di esplorare nuove concezioni di musica. "Ogni album che faccio è un punto importante - dice Jack -. In questo caso stiamo vedendo una reazione molto più forte del solito. E' un bel momento".

Come è nata la collaborazione con Sam Dixon?
Banalmente è nata perché lui ha lo studio vicino a casa mia. Ci siamo promessi più volte di fare delle cose insieme e alla fine è avvenuto. "Written In Scars" è la prima canzone che abbiamo scritto insieme. Siamo partiti da lì e non ci siamo fermati.

Ti ha aperto nuove prospettive di composizione?
Lui è molto bravo a finire le mie frasi, capisce al volo quello che sto cercando di fare, senza contare che è un bassista fenomenale. E poi abbiamo avuto la fortuna di esserci trovati in un momento di ispirazione simile: stavamo ascolto quasi gli stessi album.

Tipo?
Serge Gainsbourg per esempio. Poi lui è molto affascinato dalla musica italiana degli anni 60 e 70 quindi gli ho fatto sentire Lucio Battisti. Abbiamo riscoperto anche Morricone, in particolare attraverso "Rome", album di Dangermouse fatto con l'orchestra del maestro.

Le canzoni sono state scritte a partire dalla ritmica. E' la prima volta che fai così?
Sì, per me è un metodo di composizione totalmente inedito. Avevo visto un documentario su Paul Simon dove lui spiegava di far proprio così. Ho pensato "se funziona per lui, perché non provare?". La cosa strana è che in questo modo le canzoni sono venute di getto: ogni pezzo è stato registrato il giorno stesso in cui è stato scritto.

Parlando dei testi invece, è interessante come spesso ritorni il tema del senso di colpa. E' una cosa che ti porti dietro?
E' una cosa molto familiare. Ma credo che sia anche piuttosto comune, soprattutto per gli uomini, tanto avere questi sensi di colpa quanto provare ad analizzarli per renderli meno pericolosi. C'entrano di sicuro anche l'età e le esperienze di vita.

E tu sei venuto a patti con i tuoi sensi di colpa?
Non saprei rispondere. Le canzoni vengono dalle mie ferite ma non so dire quanto siano in grado di guarirle.

"Written In Scars" è stata ispirata alle primavere arabe. Oggi il tema è attuale ma molte opinioni in merito a quegli avvenimenti sono cambiate. Tu cosa ne pensi?
In realtà i temi sono stati ispirati ma non sono basati su quello. La rivoluzione di cui parlo non è la primavera araba o la rivoluzione egiziana o libica, ma più il fatto che siamo tutti coinvolti. Che ci piaccia o no, i piccoli falò che si stanno accendendo in giro per il mondo sono responsabilità di tutti, non possiamo più dire "succede lì, non mi interessa". La prospettiva è stata cambiata dall'11 settembre ma anche dagli eventi più recenti.

Qual è il motore di questi cambiamenti?
Semplicemente la gente ha fame di libertà. Non chiedono idealismi astratti come avvenuto nello scorso secolo. Oggi la gente chiede solo di poter vivere come vivono gli altri, e di questa rivoluzione facciamo parte tutti.

Cosa significa per te essere un cantautore?
Non saprei definirmi, quello che so è che rispetto alla definizione degli anni 70 è cambiato tutto. Non è obbligatorio essere folk, non è obbligatorio avere 12 brani uguali su un album solo perché suoni una chitarra acustica. Con questo album volevo proprio far vedere che oltre alla poesia si possono portare in gioco ritmi, urli di battaglia, suoni tribali.

Cosa pensi di come sta cambiando il mondo della discografia?
L'unica cosa positiva della morte dei negozi di musica è che sono morti i generi. Oggi c'è la Rete, che è un mare indistinto dal quale la gente può pescare. E per un musicista questa è una sensazione liberatoria.