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Francesco Brandi: "Il mio spettacolo nato da una delusione d'amore"

Lʼattore racconta a Tgcom24 la genesi del testo della sua piece "Per strada", che torna al Teatro Parenti di Milano dal 4 al 15 maggio

Dopo il successo al debutto a gennaio 2016, dal 4 al 15 maggio torna al Teatro Parenti di Milano "Per Strada", spettacolo dal sapore on the road scritto e interpretato da Francesco Brandi e diretto da Raphael Tobia Vogel, all'esordio alla regia teatrale.

Tgcom24 ha incontrato l'attore, nipote di Silvio Orlando, che vanta tante apparizioni al cinema e in tv e autore di un testo nato da una delusione d'amore di cui dice "è valsa la pena scriverlo".

Di cosa parla lo spettacolo?
E' la storia di due ragazzi, Jack e Paul (Francesco Brandi e Francesco Sferrazza Papa, ndr) che si incontrano in una bufera di neve. Uno sta andando ad ammazzarsi e l'altro a sposarsi. Tra i due nasce un rapporto all'inizio faticoso, ma che si evolve. E' l'incontro tra due solitudini, ma non posso dirti tutto perché se no ti svelo come va a finire.

Come ti è venuta l'idea?
E' la prima volta che scrivevo un testo per due personaggi e una storia che non c'entrava con me. Di solito scrivo quasi esclusivamente monologhi. Il testo nasce dall'incontro tra me e il regista. Ci siamo conosciuti, a Roma, sul set di Pupi Avati e siamo diventati molto amici. Poi lui a un certo punto è scomparso, tanto che credevo fosse morto. Ci siamo fatalmente incontrati a Milano, gli ho proposto il testo ed è nato lo spettacolo.

In "Per Strada" ci sono tanti spunti di riflessione, ma anche molta ironia
L'ironia per me è una scelta di vita. E' fondamentale. Credo che come la vita la scrittura abbracci tantissime cose e noi abbiamo provato a mettere tutto dentro lo spettacolo, il ridere il piangere, lo stare bene e lo stare male. Io e Raphael affrontiamo le cose con una sana leggerezza.

Ti aspettavi una risposta del pubblico così entusiasta?
Mi aspetto sempre insuccessi, poi se le cose vanno bene mi stupisco. In tanti anni non ho ancora capito cosa faccia scattare l'interesse del pubblico, non me lo pongo più come problema, però credo di saper distinguere quando una cosa vale la pena vederla e quando no. Sapevo che questa fosse una cosa per cui valeva la pena lavorare, che è valsa la pena scrivere, che vale la pena vedere, ma non volevo farmi troppe illusioni.

Perché ne è valsa la pena scriverlo?
Quando ho iniziato a scrivere questo testo ero stato appena lasciato dalla mia ragazza. Vivevo a Roma con due amici e non sapevo cosa volessi esattamente dalla vita, da me stesso. Ora vivo a Milano con la mia compagna, ho una figlio e credo che questo testo mi abbia aiutato a rimettermi in cammino dopo vicissitudini sfortunate e dolorose che fanno parte della vita. Io mi sono rimesso in sesto cercando di tirare fuori le cose negative che avevo dentro.

Al cinema hai lavorato con tanti maestri, da Virzì a Moretti, da Mazzacurati a Scola. Con chi ti piacerebbe poter lavorare di nuovo?
Con Scola è stato fantastico e breve, però ho avuto con lui un rapporto meraviglioso. Lo considero come un regalo che mi ha fatto la vita. Quando le persone muoiono, in Italia si tende sempre a dire "era un grandissimo". Nel caso di Scola era vero. Era incredibile. Tra tutti quelli con cui ho lavorato al cinema, mi sarebbe piaciuto lavorare ancora con Mazzacurati che purtroppo non c'è più e Avati, che è stato quello che più di tutti ha tirato fuori da me le cose migliori.