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Christian Bachini, re delle arti marziali al cinema

Lʼattore confessa a Tgcom24: : "In Italia non cʼera posto per me"

Christian Bachini vive a Shanghai da 5 anni. Quando è partito forse nemmeno gli amici più intimi avrebbero scommesso che ce l'avrebbe fatta. Ed è pure comprensibile: il progetto che aveva in mente, aveva davvero il sapore del sogno hollywoodiano, di quelli che si realizzano uno su un milione. Ma lui ha avuto il coraggio di crederci e si è preparato con lucido calcolo. Christian Bachini oggi ha 28 anni ed è un affermato attore di arti marziali proprio nella patria di queste antiche discipline, la Cina. Quando a 23 anni è partito dalla sua città, che la sorte ha voluto fosse Prato (il comune con la comunità cinese più grande d'Italia), in tasca aveva un biglietto di sola andata direzione Pechino e tanta tantissima voglia di fare l'impossibile.

Christian Bachini, re delle arti marziali al cinema

Missione compiuta, complimenti. Ma come mai ha deciso di lasciare l'Italia?
Perché non c'era spazio per me. Quando dicevo di voler portare sullo schermo le arti marziali, si mettevano a ridere. I registi che conoscevo erano troppo occupati a pensare ai “grandi progetti”. Ho dovuto fare carriera all'estero per poter essere preso sul serio.

Sta dicendo che ha dei progetti qui adesso?
Ho raggiunto un'intesa con un'importante casa di produzione italiana, di cui ancora non posso rivelare il nome. In ballo ci sono 4 film in coproduzione tra l'Italia e la Cina, finanziati al 50 e 50. Siamo molto vicini ad un accordo. I cinesi sono entusiasti e anche gli italiani si sono mostrati molto interessati.

Saranno girati a Cinecittà?
I primi due film saranno girati in parte negli studi di Roma e in parte in Cina, il terzo totalmente in Cina, mentre il quarto negli Stati Uniti. I cast saranno misti. Era una cosa che ho sempre avuto in mente, volevo gettare un ponte tra i due paesi».

Come è riuscito a costruirsi una carriera in così breve tempo in un paese straniero?
Vede, ho avuto le idee chiare fin da bambino. Mi piacevano i film d'azione e a 8 anni cominciai a guardare i film di Jakie Chan. Anche io volevo fare cose folli come buttarmi giù da un palazzo o da una macchina in corsa e capii che per fare queste cose divertendomi, avrei dovuto puntare alla carriera di attore – stunt. Allora cominciai a praticare le arti marziali. Studiare non mi interessava, volevo finire il prima possibile. Così dopo il Liceo scientifico mi sono iscritto alla scuola di cinema Anna Magnani di Prato.

Quante arti marziali conosce? E c'è n'è una che predilige?

Sono una ventina quelle che conosco. Ho iniziato con il kung fu per poi passare al wushu, al jujitsu, al taekwondo, alla muay thai e via dicendo. Ma quella che preferisco senza dubbio è il kung fu nella sua incredibile varietà di stili e tecniche; è la più affascinante».

Aveva già dei contatti in Cina?
'Assolutamente no. Cinque mesi prima della partenza ho cominciato a studiare la lingua in modo da muovermi più facilmente all'arrivo. Poi pensai a girare dei video di presentazione per mostrare cosa sapevo fare. E dato che nessun regista era disposto a registrare una sola clip d'azione, mi dissi “bene, faccio tutto io”. Allenai mio padre perché figurasse come un combattente e radunai alcuni amici e maestri che conoscevo. Nel giro di 5 giorni realizzammo 2 cortometraggi di 15 minuti, che a quanto pare si sono dimostrati molto validi.

E una volta là?
Oltre al talento ho avuto tanta fortuna. Infatti, sono state una serie di coincidenze a portarmi alla notorietà. Grazie ad alcune ragazze, sono riuscito ad imbucarmi alle feste giuste dove conoscere dei produttori. E così dopo poco sono riuscito a incontrare Jakie Chan in persona. Da quel momento sono cominciate a fioccarmi proposte da tutte le parti. Era un evento eccezionale che un italiano che fa arti marziali uscisse con Chan. E dunque ho iniziato a girare diversi film da protagonista, a cominciare da Kang: The New Legend Begins che è quello che mi ha lanciato.

Come è riuscito a sfuggire da subito alla parte dell'antagonista, solitamente riservata agli stranieri?
Ho lavorato perché potesse affermarsi un mio personaggio, rifiutando gli innumerevoli ruoli del cattivo di turno che mi venivano offerti. Avessi accettato, sapevo che ne sarei rimasto prigioniero. Ho portato sugli schermi il prototipo del ragazzo comune, forte nelle arti marziali ma che non le usa se non quando cade in situazioni di conflitto. In particolare, ho voluto fondere la tradizione del cinema italiano – lo spaghetti western – con quella d'azione cinese. Il personaggio che ne è scaturito è una sorta di cowboy solitario che arriva in un contesto orientale a lui sconosciuto. Inoltre, la padronanza stessa del cinese mi ha facilitato; infatti non ho bisogno di essere doppiato e posso dare ai personaggi la caratterizzazione vocale che ritengo appropriata.

Come si trova in Cina?

Direi bene. Sono riuscito a ritagliarmi il mio spazio: come attore, coreografo dei combattimenti, regista. Ho 40 ragazzi nel mio team di stuntmen. Qui posso concentrarmi a 360 gradi sul lavoro. L'unica pecca che ha il mercato cinese è che è abbastanza autoreferenziale; i produttori difficilmente sono interessati a portare un film fuori dai confini. Per questo mi sono intestardito a trovare dei produttori interessati a una coproduzione con gli italiani. Il mio obiettivo è di importare un genere nuovo per il cinema italiano.

Tornerà mai in Italia?

Ho gettato un ponte con la coproduzione italo-cinese. Se tutto andrà bene mi avvicenderò tra i due paesi per lavoro. Ma indietro non torno. Ormai la mia carriera è in oriente.