"Aiace" e "Fedra", tra alti e bassi
Per il XLVI Ciclo di Rappresentazioni Classiche di Siracusa, fino al 20 giugno a giorni alterni, in scena "Aiace" di Sofocle, nella traduzione di Guido Paduano, per la regia di Daniele Salvo con Maurizio Donadoni nel ruolo del protagonista, E "Fedra (Ippolito portatore di corona)" di Euripide, nella traduzione dello scomparso Edoardo Sanguineti, per la regia di Carmelo Rifici con Elisabetta Pozzi nel ruolo di Fedra e Massimo Nicolini è Ippolito.
Se "Aiace" conquista subito per la modernità del testo e della recitazione, "Fedra" ha dalla sua un'arma a doppio taglio. La traduzione del poeta Sanguineti ha voluto riportare le parole al tempo della classicità (con tanto di cadenza metrica in italiano) ed ha sicuramente un grande e indiscusso valore letterario, rende molto meno invece - non senza enormi difficoltà per gli attori - per la trasposizione teatrale.
Scenografia essenziale in legno con un grande parallelepipedo al centro della scena che rappresenta il palazzo di Aiace. Al fianco una nave spezzata da cui entrano ed escono gli eserciti che camminano su un lago d'acqua, che rappresenta il mare. Ecco "Aiace" che nella sua essenzialità colpisce subito per la presenza scenica di Atena (Ilaria Genatiempo) e di Maurizio Donadoni nel ruolo del protagonista. Tutto nasce dall'ira di Atena per la superbia di Aiace che si vede sottratto le armi di Achille in favore di Ulisse. Medita così vendetta nei confronti dei compagni. La dea decide allora di rendere folle il condottiero e di far sì che faccia strage di bestiame, credendo invece di uccidere i Greci. Quando Aiace si rende conto di essere in preda ad una follia 'divina', torna in sè e prova vergogna e disperazione. L'unico modo per riscattarsi è il suicidio.
Donadoni rende alla perfezione il tema dell'onore ferito e mette tutto se stesso per comunicare allo spettatore la rabbia e il dolore. Ottima anche la prestazione di Elisabetta Pozzi nel non facile ruolo della moglie Tecmessa, sempre in bilico tra fierezza femminile e disperazione. Notevole l'interpretazione di Giacinto Palmarini in Teucro (il fratello di Aiace che tenta invano di salvarlo). La traduzione di Guido Paduano è efficace e moderna così come i costumi di Silvia Aymonino.
Andrea Conti
(La foto tratta da "Aiace" è di C.Aviello)
(Nella pagina seguente la recensione di Fedra - Ippolito portatore di corona)
La storia di "Fedra (Ippolito portatore di corona)" è in sè intrigante. La tragedia di Euripide nasce dall'ira della dea, Afrodite verso il giovane Ippolito (Massimo Nicolini) figlio di Teseo (Maurizio Donadoni) e della Amazzone che la rifiuta, proclamandola la peggiore delle divinità, onorando così solo Artemide. Dunque Afrodite si vendica instillando in Fedra (Elsabetta Pozzi), moglie di Teseo, la passione per il figliastro. La regina poi si suicida e Ippolito dovrà fare i conti con il padre. Si avverte subito la grande difficoltà degli attori per cercare di rendere immediata e fluente la traduzione che Sanguineti ha fatto dell'opera greca. Donadoni, Nicolini, Emiliano Masala (Messaggero) Ilaria Genatiempo (Afrodite) e Alessia Giangiuliani (Artemide) riescono a tenere alta l'attenzione del pubblico. Più difficile è risultato il compito per Elisabetta Pozzi (che ricordava troppo per toni e intensità Tecmessa in "Aiace") e la brava Guia Jelo che qui rende si è incatenata in una chiave di interpretazione 'didascalica' per la resa del personaggio della nutrice. La traduzione di Sanguineti, il suo ultimo scritto prima della recente scomparsa, ha un indubbio valore letterario ma diventa 'esercizio di stile' se lo si trasporta in altra dimensione, in questo caso quella teatrale. Massimo Nicolini ha dimostrato di esser cresciuto professionalmente, ponendosi così come uno degli attori più interessanti della nuova generazione.
Da qualche anno a questa parte, per volere dell'INDA, gli attori dei cast delle due tragedie che si mettono in scena sono gli stessi. Se da un lato si ammira la professionalità e la resa scenica di qualcuno dei protagonisti, dall'altra si crea un po' di confusione nel vedere lo stesso attore interpretare ruoli importanti sia un una che nell'altra tragedia. Forse di dovrebbe tornare a differenziare i cast, proprio come un tempo.
(Foto M.L. Aureli)