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Un "Sushidio" d'amore e gusto

Tgcom intervista il regista della piéce

"Sushidio" è un surreale spettacolo sull'amore, dove, attraverso la congiunzione di cinema giapponese e commedia romantica, va in scena in un kaitenzushi un metaforico suicidio al sapore di riso e pesce crudo.

Il tutto "servito", è il caso di dirlo, all"Al-kimiya Lab" di Milano, dal 12 febbraio al 2 marzo.

Decidere di morire per amore. Jeff Buckley, Luigi Tenco, Dalila, d'altronde, sono solo alcuni nomi di un elenco lunghissimo. Chi non l'ha mai pensato, anche solo in un lampo di terribile sconforto? Forse un atto un po' vile o ancora infantile. Ma se, invece, cambiassimo prospettiva? Se il suicidio divenisse un "Sushidio", un gesto di sublimazione di un momento di irripetibile unione?

Valentino Infuso, regista e attore, ha deciso di bloccare, se non -chiaramente- nella vita ma attraverso l'arte, quel sentimento tutto umano che sarebbe capace di farci compiere gesti inconsulti. E lo spiega a Tgcom.


Sushidio è uno spettacolo in cui si può mangiare e allo stesso tempo far parte della storia. Com'è possibile tutto questo?

La storia si sviluppa secondo modalità già rodate nello spettacolo di teatro-cucina©, sperimentato qualche anno fa qui a Milano. Da questo sfondo si dipanerà la storia e il pubblico ne farà parte tout-court. Nel senso che a livello di organizzazione spaziale una parte del pubblico, precisamente venti unità faranno parte della scenografia non dico attivamente ma interagendo come pseudo-comparse, la clientela del sushi-bar. Eliminando quindi il palco e adoperando una disposizione ad “anfiteatro” verrà poi garantito il senso di compartecipazione dell'intera platea.

Qual è il leit-motiv della messinscena teatrale?
Forza motrice è il tema della dimenticanza. I personaggi coinvolti non si riconoscono più. Si vedono diversi. Quante volte è capitato anche a noi di dire “non so chi sei”. Di non riconoscersi più nell’altro. Nella piéce teatrale tutto ciò viene tirato fino all’estremo. Due individui si incontreranno in un luogo estraneo, un "kaitenzushi" (ovvero uno di quei locali giapponesi dove il sushi è offerto su un nastro trasportatore, ndr) si attrarranno, si ameranno e così per varie volte. In realtà infatti i due protagonisti si erano già amati un tempo e già lasciati. La storia così descritta sfocerà nel grottesco, inevitabilmente, una comica amara della vita in fin dei conti.

Leggendo il comunicato stampa, mi è sembrato di vedere alcune scene del film "Se mi lasci ti cancello". Hai preso da qui lo spunto?
Tutt’altro, anche se effettivamente c’è un filo conduttore che lega il film al testo teatrale, il tema dell’agnizione. A differenza del film però la rimozione non è volontaria. Così dopo una serie tragicomica di riconoscimenti e dimenticanze i due protagonisti decidono di congelare quel momento di consapevolezza attraverso il Sushidio.


Sushidio?
Sì, è un misto diciamo tra la fuitina meridionale e l'harakiri ovvero la pratica usata in Giappone a partire dal periodo edo durante il quale, a suggello del loro amore, una coppia decide di suicidarsi insieme. Un atto sublime,  diciamo quasi inverosimile, che renderebbe eterno l'amore dei due amanti.

Qual è stata l'idea che ha portato a questo particolare spettacolo?
Non c'è un motivo letterario in particolare, ma piuttosto ho preso dalla vita. Un periodo molto particolare della mia di vita, legato a una persona che poi nella realtà si è rivelata altro. Da qui diciamo è nato lo spunto per poi andare a finire al cinema giapponese, che io adoro.

In che senso?
La coppia per ritrovarsi e riscoprirsi necessita di un contesto estraneo. Lontano dal mondo di appartenenza, i protagonisti possono così interagire tra loro di nuovo. Nel contesto teatrale, in particolare, ci rifacciamo a un immaginario conforme a quello giapponese che il cinema offre. Ma attenzione, non è uno spettacolo sulla cultura giapponese e sui comportamenti che gli abitanti del Sol Levante hanno.

Luisa Indelicato


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