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Enni, un ingegnere a tutto pop

La cantautrice a Space Scout

Bella, dolce, ambiziosa e determinata.

Ecco Enni (vero nome Annachiara Zincone) che oltre a dipingere e scrivere (ha pubblicato il libro "Amnesia") ha una grande passione per la musica. Con un disco già pronto da pubblicare ma in attesa di esser prodotto ("voglio dedicarlo alla memoria di mio padre, che è da poco venuto a mancare"), Enni racconta di quell'incontro con Francesco De Gregori e dei suoi silenzi...

Ami dipingere, scrivere e cantare ma se dovessi scegliere una di queste arti, quale ti rappresenterebbe al meglio?
Ho sempre provato un bisogno fisiologico di comunicare con gli altri e la musica, la  scrittura e la  pittura mi hanno permesso di farlo. Ognuna di queste forme artistiche è la manifestazione di una stessa cosa, la mia interiorità, che è ricca di sfaccettature. Posso però dire che quella a cui mi sono dedicata maggiormente, e a cui ho dedicato più tempo, è stata la Musica.
 
Come nasce il libro "Amnesia"?
Amnesia nasce da un momento di profonda crisi personale. La vita mi aveva inflitto grosse delusioni: prima fra tutte la separazione dei miei genitori, alla quale erano seguite azioni cruente e deleterie da parte di entrambi. A tutto questo ho reagito con attacchi di panico e depressione. Invece di scoraggiarmi, ho pensato di dare un senso alla mia brutta esperienza scrivendone in un libro. Di romanzi ne avevo già iniziati diversi, ma Amnesia è stato il primo che ho completato. Ho voluto descrivervi, in modo talvolta crudo ma allo stesso tempo ironico, il mal du vivre di una ragazza come tante. Credo che la lettura di questo libro possa aiutare le persone che soffrono di ansie e fobie a sentirsi meno incomprese, e soprattutto meno sole. Il romanzo è stato pubblicato dalla Sideral nel 2007.
 
Quando hai capito di amare la musica?
Questa è una cosa che non va capita. Come l’amore, che non lo si capisce ma lo si vive, e non se ne può fare a meno. Comunque i primi ricordi musicali sono legati ai lunghi viaggi in auto con la famiglia - mamma, papà e i miei due fratelli - quando ci recavamo in villeggiatura a Leonessa. Ascoltavamo interi album, per lo più di cantautori italiani, e dall’inizio alla fine del tragitto non facevamo altro che cantare tutti insieme. Una volta arrivati destinazione però, io continuavo a cantare… Ricordo anche la prima volta che composi una melodia tutta mia, avevo dieci anni e mi trovavo in vacanza, da sola, in una colonia estiva. Posso quindi dire che la passione ce l’ho da sempre.
 
Perché ha studiato proprio canto lirico?
Mi iscrissi a pianoforte a quindici anni in una scuola che dava una formazione classica. Più tardi decisi di iniziare anche canto e ovviamente l’insegnante della scuola era specializzata in canto lirico. Cominciai così, riuscendo anche piuttosto bene.
 
Hai dei modelli musicali?
Da bambina ho “assorbito” molta musica italiana ma, crescendo, i miei ascolti si sono rivolti alla musica internazionale e per lo più a cantanti di sesso maschile, forse perché più spontanei e meno virtuosistici delle donne. Quando compongo però non ho dei veri e propri modelli, e penso fermamente che non si debba cercare di imitare qualcosa di già esistente, perché solo restando se stessi si è unici, e si può trovare il proprio spazio. Sono una che crede ancora nelle canzoni che funzionano pianoforte e voce, o chitarra e voce, senza sminuire gli arrangiamenti che sono importantissimi, ma se non c’è lo scheletro, non si va da nessuna parte.
 
Quali i tuoi obbiettivi futuri?
Far pubblicare il mio album che ormai è pronto. Desidero fortemente che resti una traccia del lavoro che ho fatto in tutti questi anni. Voglio dedicarlo alla memoria di mio padre, che è da poco venuto a mancare e che è sempre stato il mio più grande sostenitore, cerco quindi una produzione seria che possa garantirmi un minimo di visibilità. Non mi sembra di chiedere molto, ma a quanto pare, in questo paese, è ancora troppo. Una volta pubblicato questo fatidico disco, mi dedicherò seriamente a un lavoro che possa farmi sopravvivere, continuando a comporre ogni volta che ne avrò l’ispirazione.

Miri a Sanremo o X Factor?
Miro a tutto quello che possa servire a farmi conoscere dal grande pubblico, perché credo sia importante avere un riscontro e non scrivere solo per se stessi. Alle volte però questi programmi tendono a dare una visione falsata dell’artista e penso che possa essere pericoloso e deleterio farsi conoscere in una maniera sbagliata. Non amo particolarmente né Sanremo né X Factor e non li critico come programmi, ma per i criteri che adottano nello scegliere gli artisti. Entrambi danno poco spazio a chi scrive da sé le canzoni e trovo la cosa profondamente sbagliata. Quest’anno a Sanremo c’erano quasi solo interpreti. Sembra che tutti vogliano cantare e nessuno voglia comunicare. Chi non scrive e non ha qualcosa di unico e personale da dire, prima o poi finisce nel dimenticatoio. Di puri interpreti come Mina ce ne sono pochi. Invece dando spazio a chi scrive, si investe su qualcosa che sta crescendo e che ha una propria identità, e non si è costretti a cercargliene una da appiccicargli addosso. Chiaramente se mi chiamassero, accetterei subito di partecipare, perché è una delle poche opportunità rimaste e vorrei potermi mettere in gioco. Ma non potrei mai rinunciare alla mia autenticità.
 
Fai anche un altro lavoro oltre alla scrittura pittura e musica?
Fin ad ora non ne ho avuto bisogno. Adesso mi sento costretta a farlo, visto che non riesco a vivere solo delle mie passioni. Sto cercando lavoro come ingegnere (sono laureata). In ogni caso l’estro artistico farà sempre parte di me. Se avrò voglia di scrivere una canzone, la scriverò.
 
Chi era il cantautore romano cui hai fatto ascoltare dei pezzi nel 2003?
La prima persona che ascoltò qualcosa di mio fu il grandissimo Francesco De Gregori. Al tempo lavoravo con Francesco Lo Cascio, figlio del cantautore Giorgio, molto amico di De Gregori. Era l’unico contatto che avevamo. Mi recai all’incontro timida ed emozionata, ma lui fu gentilissimo. Ci accolse calorosamente e ci preparò con le sue mani il caffè. Poi ci fece accomodare nel suo studio che profumava d’arte: un grande piano a coda Steinway, una ricca libreria e quadri appesi alle pareti. Ne riconobbi uno che aveva usato come copertina per l’album “Terra di nessuno”. Mentre ascoltava le mie canzoni mi sembrò che fossero orribili, e oltretutto De Gregori rimase in silenzio per tutto il tempo, facendo crescere ancor di più la mia agitazione. Invece, terminato l’ascolto, lodò la mia voce – ebbe perfino qualche parola di apprezzamento per i miei testi! – e mi diede alcuni ottimi consigli che allora compresi solo in parte. Quando uscii da casa sua mi rivolsi a Francesco, ancora incredula: “Adesso posso dire che De Gregori mi ha preparato un caffè!”
 
Sei sorella di due gemelli: ti proteggono?

Essere sorella di due gemelli è come essere figlia unica… sono sempre più fratelli tra loro che con te. Devo dire però che gli voglio un gran bene, e nei momenti di difficoltà non hanno mancato di starmi vicino. Siamo tutti e tre molto legati e spesso ci hanno scambiato per tre gemelli, ci assomigliamo molto. Sicuramente hanno la testa sulle spalle più di me, che sono una sognatrice e ho sempre un’infinità di idee che mi attraversano la testa!

Andrea Conti