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Dharamsala, il governo tibetano in esilio

Lʼavventura di Anna e Fabio attorno al mondo

Dharamsala, il governo tibetano in esilio - foto 1
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Dharamsala è la nostra sedicesima “ispezione”.
 
Con questa dichiarazione non voglio sottintendere che “ormai” si tratti di un compito di routine. Ogni progetto ha caratteristiche molto spiccate oltre a essere, ogni volta, situato in paesi diversi. Anche quando, occasione rarissima, ci sono capitati due progetti nella stessa nazione (India 2012) erano talmente distanti, non solo geograficamente, da escludere qualsiasi possibilità di generalizzazione.
Qui a Dharamsala però le caratteristiche peculiari si esaltano. 
 
Cominciamo perciò a elencare le particolarità con ordine.
 
1) Per la prima volta non visitiamo un progetto finanziato da Mediafriends per valutarne la riuscita. Le attività di Vimala in favore del Governo Tibetano in esilio non sono state in alcun modo sostenute né concordate con Mediafriends. La nostra visita ha un carattere essenzialmente esplorativo.
2) Con i rappresentanti di Vimala abbiamo avuto solo rapporti telefonici, dai quali sono emerse delle caratteristiche di questa ONG molto particolari. Potrei tentare di definire Vimala come una ONG “corta”. Pochi operatori, costi di struttura quasi inesistenti, nessun compenso. Molta, molta passione.
3) Nessun rappresentante di Vimala presente alla visita. Tutte le informazioni che avremo, ci verranno direttamente dai beneficiari (dal Governo Tibetano in esilio) senza alcun filtro.
4) Avremo la possibilità di un rapporto diretto con (il Governo Tibetano in esilio) una delle realtà più influenti del momento. Non dobbiamo infatti trascurare che l'uomo più rappresentativo è uno dei “world leaders” più ascoltati: il Dalai Lama. 
5) Cos'è un governo in esilio? Ovviamente l'India ha un proprio governo legittimo che non può accettare sovrapposizioni: i profughi tibetani sono “legalmente accettati” e perciò dipendono dal governo Indiano. Allora il governo tibetano che poteri e che compiti ha?
 
Direi che questa visita è una “gran bella occasione”.
Non incontreremo il Dalai Lama (in questi giorni è occupato con una serie di “lezioni” pubbliche che hanno richiamato una folla di fedeli e simpatizzanti da tutto il mondo) ma avremo la possibilità di “guardare dentro” al governo tibetano in esilio incontrandone i principali rappresentanti. Certo, è un governo che rappresenta solo 130.000 persone, ma riesce a pesare molto sull'opinione pubblica mondiale. 
La chiave per avere questa possibilità è anche il nostro primo compito.
Visiteremo uno dei progetti che Vimala ha realizzato a Dharamsala (le attività di Vimala a favore del governo tibetano in esilio sono moltissime e gode della massima considerazione) a favore di quello che d'ora in avanti chiamerò CTA (Central Tibet Administration): una casa di accoglienza per ex prigionieri politici.
Non essendo presente un rappresentante di Vimala, il compito di illustrarci il progetto e i termini della collaborazione spetterà a un incaricato del CTA.
 
Come sempre i nostri tempi di viaggio sono piuttosto scombinati. Fra un ritardo, un intoppo e chissà quali altre eventualità, siamo in grado di fissare le nostre visite solo con qualche giorno di anticipo. 
Qui devo dire che la disponibilità del CTA è stata massima. La nostra visita infatti è iniziata in pieno weekend ma abbiamo trovato la massima collaborazione.
Per prima cosa, ovviamente, abbiamo visitato la casa di accoglienza. 
Se non siete mai stati a Dharamsala, sono certo che ne avete un'immagine totalmente diversa dalla realtà. E' un'eplosione urbanistica in salita. Non solo perché si costruisce di tutto dappertutto ma soprattutto perché, fisicamente, Dharamsala è il paese più ripido del mondo. Fra le case nella parte bassa dell'agglomerato e quelle più in alto, ci sono quasi 1000 metri di dislivello percorsi da una strada ripidissima, strettissima, congestionata di traffico in entrambi i sensi. 
Fra un tornante e l'altro, sono costruite le case, praticamente una sull'altra.
Gli spazi perciò sono strettissimi. La “nostra” casa di accoglienza rientra, urbanisticamente parlando, in questo schema.
Ne risulta una palazzina piacevole, disposta lungo una delle strade che raggiungono la parte più alta della città. Proprio sotto, dall'altra parte della strada, c'è un centro dedicato agli ex detenuti politici sulle cui pareti ci sono, oltre alle informazioni sulle dimensioni della “persecuzione”, anche numerosi disegni in stile molto naif che illustrano le vessazioni e i metodi di tortura adottati in Tibet contro gli oppositori politici.
 
La vista non è piacevole ma sicuramente “formativa”.
Su un lato della strada avete la storia della violenza, dall'altro (un poco più in alto) trovate quelli che l'hanno subita.
Passiamo ora alla casa vera e propria. Una palazzina di tre piani, divisa in piccoli appartamenti di taglio diverso. Ci sono dei monolocali per persone sole e altri appartementi sono più grandi, in grado di accogliere una piccola famiglia.
La casa è ragionevolmente confortevole anzi, considerati gli standard locali, si può dire “molto confortevole”. 
Incontriamo gli ex prigionieri politici che vi risiedono sul tetto, dove c'è un grande terrazzo.
Sono tutti passati per lunghe detenzioni nelle carceri cinesi, dalle quali sono usciti per aver scontato la pena o perchè talmente sfiancati da essere considerati in fin di vita. Anche i più malridotti, appena rilasciati, sono riusciti a attraversare l'Hymalaia (a piedi) e a raggiungere il Nepal e poi Dharamsala. 
Le loro storie sono tragiche. 7 anni di lavori forzati per aver appeso manifesti sono una condanna che ha il solo compito di dimostrare l'inflessibilità del potere dei vincenti. Di diverso spessore sono le azioni armate sostenute dalla CIA, a cui alcuni ospiti hanno candidamente raccontato di aver partecipato. Hanno anche dichiarato, con lo stesso candore, che queste azioni sono state fomentate ma lasciate poi miseramente fallire.
Il problema è il modo in cui si e svolta l'annessione (considero questo termine accettabile perché, che il Tibet sia in qualche modo parte del territorio cinese, è un fatto accettato anche dal Dalai Lama) e come è stata sfruttata dalla politica internazionale per scopi che con i diritti e il benessere dei tibetani avevano poco a che vedere. 
Le notizie sulla storia e sulla situazione tibetana sono facilmente reperibili ovunque. Per farne un brevissimo e rozzo riassunto, mi limito a dire che i rapporti degli imperi cinese e mongolo con il Tibet sono stati sempre molto complessi, con alterne vicende durate secoli. A rendere ancora più torbida la situazione, si sono inseriti (in tempi storicamente più recenti) anche gli interessi degli imperi inglese e russo. Fino agli anni '50 (del secolo scorso) gli accordi fra il governo tibetano e i suoi potenti vicini erano funzionali a conservare il potere di una teocrazia e una nobiltà. La popolazione viveva una condizione ancora feudale. Sulle motivazioni della Cina riguardo l'annessione del Tibet, mi limito a dare qualche notizia “dimensionale”. La Repubblica Popolare Cinese attuale (incluso il Tibet), ha una superficie di 9,5 milioni di kmq, con 1,4 miliardi di abitanti. 
Il territorio tibetano (3,8 milioni di kmq) incide sulla superficie totale per circa un terzo, con una popolazione indigena di circa 6,5 milioni. 
Cioè: il Tibet vale, in termini di superficie, 1 terzo della Cina ma, in termini di popolazione, ne ha solo lo 0,5 per cento. Interessi politici a parte, sappiamo che i popoli sono come l'acqua: traboccano dagli spazi troppo pieni verso quelli vuoti. 
Un paese grande e potente che digerisce un piccolo vicino. Una storia che si è ripetuta migliaia di volte.
Di fatto, alla luce della storia, l'attuale situazione della comunità tibetana all'estero sembrerebbe senza sbocco. Inevitabilmente destinati a sciolgliersi nel paese conquistatore o in quello in cui sono ospiti.
Invece no.
Grazie ad un leader intelligente e carismatico. 
E qui che la personalità del Dalai Lama assume ai miei occhi uno spessore completamente diverso dai luoghi comuni. E' il rappresentante di un piccolo popolo che è diventato un world leader.  Sa sostenere le sue istanze con la forza del buon senso e con la massima apertura al dibattito. 
 
Sul piano della politica internazionale si pone l'obiettivo a lungo termine di una riconciliazione con la Cina. 
Il CTA non mette in discussione la competenza dello stato cinese sui temi della giustizia, della difesa e della fiscalità del Tibet.
Nessuna richiesta di indipendenza e nessun frazionamento territoriale, ma una attenta difesa della cultura e dell'identità tibetana. 
 
Ma è il piano della politica “nazionale” che ai miei occhi però assume un rilievo ancora più importante. Il lavoro che il Dalai Lama sta facendo nell'intento di cambiare la società tibetana. 
Non dimentichiamo che egli stesso è frutto di una selezione di tipo religioso eppure il suo approccio alla politica è molto “civile” e dialettico. 
Attualmente il CTA ha una struttura assolutamente democratica. Ci sono le elezioni e c'è un parlamento. Il governo si occupa di gestire tutta una serie di servizi alla comunità che si concentrano su due aree fondamentali. Da una parte la creazione di una serie di rapporti istituzionali che garantiscano la legalità della presenza tibetana nei territori delle nazioni ospitanti. Dall'altra, la risoluzione di tutta una serie di problemi che la popolazione di origine tibetana si trova ad affrontare nella condizione di esiliata “stabile” ma sempre in lotta per il “rientro”.
Sul primo fronte ci sono tutti i servizi di “legalizzazione” dei profughi. La maggioranza di essi, per raggiungere l'India, passa per il Nepal. Un paese che ha stretti rapporti con la Cina. Per questo motivo, il passaggio dei profughi tibetani è sottoposto a regole piuttosto strette. Il CTA ha stabilito dei centri di accoglienza in Nepal, dove vengono concessi dei permessi di transito che permettono di attraversare questo paese. Una volta arrivati in India, la loro posizione viene legalizzata. 
Qui si apre la seconda parte del problema. Occorrono centri di accoglienza soprattutto per i più giovani, che rappresentano una parte rilevante del flusso. Molti di questi sanno che non potranno più avere rapporti con le famiglie di provenienza per non metterle a rischio di rappresaglie. Perciò servono pensionati dove risiedere e scuole dove farsi una cultura. Poi servono casa, lavoro, assistenza medica.
Infine c'è il complicato rapporto fra un governo “ospite” e un governo territorialmente competente e legittimo: quello indiano.
Il CTA non ha nessuna autorità ne alcuna rilevanza legale, ma “difende e cura gli interessi” di una comunità che, anche se il flusso di profughi sta scemando, ha pur sempre dimensioni rilevanti. La zona di Dharamsala non è in grado di accoglierli tutti. Grazie ad un accordo con il governo indiano e con alcuni degli stati della federazione, sono stati creati degli insediamenti un po' in tutta l'India su terreni demaniali o acquistati. Il rapporto con le popolazioni indigene è giudicato “molto buono”. 
 
Il nostro giovane, gentilissimo e molto efficiente accompagnatore, ci ha portato un po' dappertutto. 
Interessante la visita ad un “settlement” a qualche ora di macchina da Dharamsala. Anche in caso di piccoli insediamenti i problemi legali e di buon vicinato sono sempre gli stessi. C'è un ufficio che si occupa dei rapporti con la comunità indigena, un centro di salute e una scuola. Spesso sono il centro di salute e la scuola che riscuotono il maggiore successo. A quanto pare, raccolgono utenti anche fra la popolazione indiana, che li considera di ottimo livello. Le scuole, per essere legalmente riconosciute e poter così dare accesso anche agli alti livelli di istruzione, hanno dovuto condividere principi educativi che sono piuttosto lontani dall'istruzione tradizionalmente erogata dai monaci.  
Uno dei più rilevanti motivi dello scontro fra Tibet e Cina è stato l'impronta aristocratico-teocratica del primo, in conflitto con una visione di stampo comunista del secondo.
Oggi, la politica cinese nei confronti dei monaci e dei monasteri non è più quella durissima degli anni '50 e '60, ma il numero dei monaci è “contingentato”. Perciò è abbastanza evidente che, fra i profughi che raggiungono l'India, la percentuale di “vocazioni inespresse” sia piuttosto alta. Su una popolazione tibetana in esilio di 130.000 persone, quasi un terzo è rappresentato da monaci e dà al clero un peso molto rilevante. 
Nei nostri incontri “governativi” ci ha molto colpiti quello con il ministro della cultura. Ci ha colpito il suo fascino, il fatto che fosse l'unico religioso fra i ministri e, soprattutto, che il suo ministero fosse quello di Religione e Cultura.  
Ho un esagerato rispetto per le cariche istituzionali, ma non ho potuto trattenermi dal fargli notare che in Europa abbiamo lottato per secoli per tenere queste due realtà ben distinte fra loro. Mi ha risposto che “sua santità” ha imposto lo studio come parte obbligatoria nella vita dei monaci e una scuola non religiosa ma “etica”. 
Anche da questo punto di vista il Dalai Lama ha dimostrato di saper usare con intelligenza il suo carisma.
Il resto dei ministri e dei ministeri hanno un aspetto più affine alle nostre abitudini. Per la maggioranza si tratta di giovani tibetani di successo che si sono messi al servizio del CTA. Il compenso per la loro carica è di 300$. 
Poco anche da queste parti. Del resto il CTA non può avere una fiscalità. Gli aiuti internazionali sono tutti “a progetto” e legati a specifiche necessità umanitarie. La conseguenza è quella di non avere un budget disponibile. Unica entrata è un piccolo versamento, che non può essere altro che volontario, da parte dei tibetani in esilio o dei sostenitori. Ognuno ha un libriccino (di colore diverso per i non tibetani) su cui vengono segnati i versamenti. 
È per questo che gli uffici del governo sono sistemati a casaccio sulle pendici delle colline e nelle stradine che li attraversano pascolano le mucche.
 
La maggior parte dei ministeri sono stanzette piuttosto mal messe. Per spostarsi da uno all'altro ci si sfianca su sentieri e scalette che non finiscono mai. Però tutto viene fatto funzionare come meglio non si potrebbe. Direi che è una specie di “prova generale”: un governo anzi, meglio, un popolo che sta cercando la sua via nel mondo.  
Il nostro ultimo incontro è stato con il presidente del consiglio. Giovane, simpatico, informale. 
Ha lasciato una carriera a Harvard per mettersi a disposizione del Governo Tibetano in esilio a 400$ al mese. 
Forse, a conti fatti, ha fatto bene.
 
Dimenticavo, ha sottolineato l'ottima collaborazione con Vimala. Anche Vimala ha fatto bene.

Stojan Around the World - capitolo 3: Dharamsala