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Pianti e risate di una grande famiglia

TELEBESTIARIO di Francesco Specchia

Specchia Francesco
ufficio-stampa

Va narrativamente in calando rispetto alla prima e seconda serie, "Una grande famiglia" (Raiuno, martedì prime time); epperò possiede ancora un fascino invincibile. Il fascino dei feuilletton unito al tocco ironico dei film di Renè Clair. C'è il giovane Stefano che, consigliato da un barbogio psicanalista intrattiene una feroce passione - in stile Emanuelle Arsan - con una allegra ninfomane di provincia che si scopre essere la moglie dell'analista stesso; e questo fa ridere, specie perché scopiazzato dal film "Prime" con Meryl Streep.

C'è Martina che non consente a Raoul il riconoscimento del figlio, se lui non molla Chiara, la quale, da neotitolare della fabbrica Rengoni è l'unica che non vuole venderla; e questo fa meno ridere. C'è Edo, sempre accigliatissimo che esce di galera e ci fa mettere il povero extracomunitario Jamal, fidanzato con Martina per un omicidio mai commesso;e questo non fa ridere proprio. C'è, soprattutto, l'uscita di scena del vecchio Ernesto Rengoni, ammazzato dall'ex marito spacciatore di Claudia, neofiglia ritrovata con prole, che viene ricattata dall'assassino; e questo, onestamente, è da tragedia greca. Ma è, soprattutto, la vera "bomba sotto il tavolo", quel che Hitchcock chiamava la suspence.

Solo che qui la bomba è scoppiata e il botto s'è ramificato per tutta la storia. La famiglia straziata, l'ombra del ricatto, il dramma che scombussola gli equilibri emotivi (soprattutto quello della madre interpretata da Stefani Sandrelli, già incasinata di suo): tutto s'impernia sull'efferato fatto di sangue. Se nella prima e seconda serie aleggiava un cupo sentore di sfiga, per cui t'aspettavi sempre che accadesse qualcosa di terribile, adesso il dramma s'è consumato subito, e disvela lati inediti dei personaggi, alcuni dei quali si snaturano. Per esempio, io, in questa serie, sparerei alla Sandrelli e alla Ferrari, ree di dipingere personaggi di inenarrabile petulanza. Ovviamente permangono gli elementi paraculi e politically correct: le storie d'amore omosex col bacio del giovane Nicolò al vicino ; i musulmani buoni ma vittime della società; la fabbrichetta tutta d'un pezzo fedele al fantasma del fondatore.

Eppure non mi dispiace affatto, la struttura narrativa, il ritmo del racconto di Una grande famiglia. Con l'Alessandro Gassman continua a citare il padre Vittorio con l'accento del soldato Busacca, milanese nella Grande guerra di Monicelli....