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In morte di Giuliano Ibrahim Delnevo

Il commento di Toni Capuozzo sul ragazzo genovese morto nella guerra in Siria

Ufficio Stampa Mediaset

È una notizia che lascia sconcertati: un italiano di 23 anni muore nella battaglia di Qusair, a fianco dei ribelli. Viveva a Genova, con il padre. La conversione all'Islam, i contatti con militanti ceceni, forse un corso di indottrinamento a Birmingham: una corsa rapida al martirio. Cercato, se su Facebook aveva postato con evidente soddisfazione la frase di un generale russo, che spiega quanto sia difficile vincere contro combattenti che cercano il Paradiso davanti alla canna di un fucile.

Cosa pensare di lui? Del suo essere italiano, uno come noi, troviamo traccia solo in qualche film che gli era paciuto, come Puerto Escondido, una storia di gente che fugge, ma da un'altra parte e in un altro modo. Su Facebook, per il resto, postava solo cose militanti, tracce di Islam radicale.

Non ha tramato contro, di eroi e predicatori che suonano estranei, come probabilmente questo nostro paese era diventato estraneo a lui. Ma un minimo rispetto glielo dobbiamo: non ha tramato contro di noi, non ha progettato bombe contro innocenti. È andato a combattere una guerra lontana che sentiva sua, ed è morto.

Io non so del Paradiso, ma certo i suoi ultimi mesi devono essere stati un inferno, anche se liberamente scelto. Il pullulare di jhadisti non toglie al fronte che si era scelto di essere quello dei più deboli, delle vittime, anche se la crudeltà dello scontro sembra aver fatto morire da ogni parte la pietà. A lui, credo la dobbiamo.