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"Tutto può succedere", la nostra "Parenthood" all'amatriciana

TELEBESTIARIO di Francesco Specchia

ufficio-stampa

La prima volta che, scanalando, ho incontrato la famiglia Ferraro, nella fiction "Tutto può succedere" (Raiuno, domenica prime time), la sensazione è stata quella d'un rilassato deja vu.

I protagonisti li avevo già visti da qualche parte.

S'affacciavano in giardino, tra gazebo e ortensie, il patriarca a la matriarca, Emma ed Ettore, appena usciti da una storiaccia di amanti e casali in Toscana, e ora tutti baci e moine come i fidanzatini di Peynet. Poi arrivava Alessandro, il primogenito tutto d'un pezzo con moglie architetto ma dedita alla famiglia, una figlia sedicenne in odor di ribellione e un figlio autistico. Poi, s'infilavano in casa la figlia scapestrata Sara abbandonata dal marito e rientrata alla paterna magione a sua volta con due figli a carico. E poi, eccoti Giulia l'avvocato di successo con marito disoccupato che fa il mammo con qualche complesso. E infine Carlo, il fricchettone che vive in un barcone sul Tevere e che scopre di aver avuto un figlio di colore dal flirt estemporaneo con una violinista. Ecc, ecc. Praticamente la "Famiglia Bradford" degli anni 70, cresciuta, e sopravvissuta dopo qualche ciclo di psicanalisi. Ecco dove avevo visto i Ferraro. Su Mediaset Premiun, qualche giorno prima: sono l'adattamento italiano dei Breverman, gli antieroi californiani della serie "Parenthood" (a sua volta ispirata da un vecchio film di Ron Howard).

Accade sempre più spesso che la serialità tv italiana si affidi a quella straniera. Non è un male, le buone idee sono patrimonio dell'umanità. E in questo Parenthood ambientato a Fiumicino (975.000 spettatori, share 16.25% vincitore della serata) si ritrovano trame e sottotrame che s'intrecciano su dialoghi scoppiettanti tra il dramma e sentimento. E con attori in palla, Sermonti, Morariu e Sansa su tutti. L'altra sera, per dire il marito di Sara rifiutava un'offerta di lavoro in Corea, ma anche di fare un secondo figlio, mentre il cazzerellone Carlo lasciava lo skateboard e si scontrava con la nonna africana del figlioletto. Cose così. Nulla di trascendentale. Ma, in fin dei conti, il fatto di essere più dalle parti di Ettore Scola che di Howard significa che sappiamo copiare con arte...