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Statali licenziabili col Jobs act? Renzi: decide il Parlamento

Caos nella maggioranza: Poletti nega ma Ncd e Scelta Civica insistono sulla applicabilità del Jobs Act su qualunque tipo di lavoratore

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E' uno scontro durissimo quello in atto tra esponenti del governo e della stessa maggioranza che lo sostiene sulla applicabilità del Jobs Act anche agli statali. In particolare è sulla validità o meno dei licenziamenti anche nel pubblico impiego a tenere banco. Mentre i ministri Madia e Poletti negano, Ncd e Scelta Civica insistono e promettono battaglia alle Camere. Renzi non esclude nulla: "Deciderà il Parlamento".

Il premier in una intervista al Giorno-QN non prende posizione per il momento: "Sarà il Parlamento a pronunciarsi su questo punto, sollevato da Ichino. Esiste giurisprudenza in un senso e nell'altro". La querelle più importante è infatti quella sollevata dal senatore di Scelta Civica Pietro Ichino, sull'estensione del contratto a tutele crescenti anche agli statali, smentita però dal governo. Finora il Jobs act, spiega il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, è infatti sempre stato visto come strumento per favorire le assunzioni nel settore privato, tirando in ballo solo ed esclusivamente le imprese e mai lo Stato come datore di lavoro.

Anche il ministro della P.a. Marianna Madia ha in più occasioni smentito una generalizzazione delle norme. Per questo l'interpretazione di Ichino, secondo cui l'assenza di un riferimento esplicito all'esclusione degli statali si traduce in un loro coinvolgimento, è arrivata del tutto a sorpresa. Obbligando il governo (e lo stesso Renzi tramite il responsabile economico del Pd Filippo Taddei) a continue precisazioni. Precisazioni che però non bastano a Enrico Zanetti, sottosegretario all'Economia e compagno di partito di Ichino, che mette nero su bianco la sua irritazione: "Trovo francamente sconcertante questo affannarsi di alcuni ministri nel negare l'applicabilita' del Jobs act al pubblico impiego" dice sottolineando che il dualismo con i privati "non sta in piedi".

C'è poi la questione dei licenziamenti collettivi. Inaspettatamente il decreto prevede infatti che le regole sui licenziamenti individuali valgano anche per quelli di almeno cinque lavoratori. Una regola che forse è servita per placare gli animi più bellicosi all'interno della maggioranza ma che ha mandato su tutte le furie i sindacati. Non solo la Cgil, già pronta a nuovi scioperi e a ricorsi giudiziari contro tutto il pacchetto, ma anche la finora più cauta Cisl. Proprio l'ex sindacalista Cesare Damiano promette il suo impegno, invitando anche ad apprezzare quello che finora è stato ottenuto.

Infine l'approvazione dei decreti attuativi del Jobs act nel consiglio dei ministri del 24 dicembre ha lasciato ancora molti nodi da sciogliere, sui quali partiti politici e sindacati (ma anche esponenti dello stesso governo) annunciano già battaglia. La prima partita si gioca proprio sul nuovo ammortizzatore sociale destinato ad assorbire progressivamente i precedenti Aspi e mini-Aspi e a mandare in pensione la cig in deroga. Il decreto attuativo è stato infatti approvato "salvo intese", in assenza cioè della bollinatura finale della Ragioneria generale dello Stato e l'individuazione certa delle coperture.