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Il ministro Severino annuncia a Tgcom24:
"Abbiamo ridotto il numero dei detenuti"

Il ministro della Giustizia intervistata da Alessandro Banfi: "Il carcere è un luogo di grande sofferenza, forse superiore a quello legato alla pena detentiva",

Tgcom24

"Il carcere è un luogo di grande sofferenza, forse superiore a quello legato alla pena detentiva", afferma Paola Severino. Per cui, spiega il ministro della Giustizia ad Alessandro Banfi, su Tgcom24, "abbiamo cercato di costruire sistemi alternativi alla detenzione". "I nostri primi provvedimenti hanno portato alla diminuzione della popolazione carceraria", prosegue. "Pensiamo a pene alternative al carcere, serve un po' di fantasia".

Dopo aver preso coscienza dell'estrema sofferenza della vita da detenuti, il ministro ha riferito che si sono studiati "tutti i sistemi deflattivi possibili prevedendo il mantenimento un piano straordinario per l'edilizia carceraria, provvedendo alla costruzione di nuovi posti sia con mezzi ordinari che straordinari".

Sistemi alternativi al carcere

"Dall'altra parte - prosegue la Severino - abbiamo poi cercato di costruire sistemi alternativi alla detenzione, come il provvedimento salva carceri per ridurre il fenomeno delle porte girevoli, e si è allungato il periodo di sconto pena dai 18 ai 24 mesi per la conversione in detenzione domiciliare".

"Questi primi provvedimenti hanno già prodotto alcuni risultati confortanti sotto due profili: la diminuzione della popolazione carceraria ma con il mantenimento della sicurezza sociale".

I suicidi in cella
Sul dramma dei suicidi in carcere il ministro aggiunge: "È un tema terribile. Se dobbiamo confrontare questo tema con quello dell'aumento dei mezzi con cui controllare la detenzione domiciliare, vale la pena il sacrificio di apprestarsi a mezzi di controllo alternativi: il controllo telefonico, l'obbligo di firma o di presenza. Un po' di fantasia. Se ci si impegna e si lavora, il tema del controllo domiciliare può essere affrontato e vale la pena farlo. Si risparmierebbero vite umane senza minare la sicurezza pubblica".

L'Icam
Durante l'intervista il guardasigilli descrive alcune forme di detenzione alternativa partendo alle Icam: "Consentono a detenute madri di vivere il carcere con i figli senza che questi debbano subire una crescita dietro le sbarre. È un istituto di grande umanità e saggezza. Consentono alle madri di stare con i loro bambini vedendoli crescere in un ambiente reso sereno da tante forme di attenzione. Se il modello si diffondesse maggiormente si potrebbero risolvere tanti problemi".

Le case famiglia protette
In merito alle case famiglia protette aggiunge: "Si tratta di istituiti senza sorveglianza dove si va perché ci sono problemi legati all'assenza di un domicilio nel quale stare. Sono sostitutivi della detenzione domiciliare per coloro che non hanno un domicilio o per chi non ha un domicilio sicuro. Ho visto queste case protette le ho viste anche all'estero, a Ramallah per esempio, una casa protetta costruita per dare accoglienza a donne che hanno subito violenza. Vedere la serenità di queste donne darebbe un grande stimolo a tutti noi per dedicarci anche ad istituzioni di questo genere".

La messa alla prova
Tra le forme alternative elencate, c'è anche la messa alla prova: "È molto noto all'estero e consiste in un piano di recupero che il giudice fa e personalizza per ogni detenuto. Non tutti i detenuti possono essere soggetti a messa alla prova. Sta al giudice stabilirlo. Se si stabilisce che una persona possa essere facilmente recuperata, lo si sottopone alla prova. Se la prova viene superata il processo si estingue. È un mezzo per recuperare in maniera diretta una persona che abbia commesso un reato di entità medio-bassa, non pericolosa. È anche un modo per far interagire colui che ha commesso il reato con la società per essere meglio reintegrato".

Il lavoro per i detenuti
Infine Paola Severino parla anche del lavoro per i detenuti: "È importante, è la soluzione più radicale del problema, l'investimento più grande ed importante per il recupero dei condannati. È il mezzo per abbattere la recidiva. Stiamo conducendo uno studio che dimostra che chi ha lavorato in carcere o in regime di semi-detenzione non ricade nel reato e questo è fondamentale. La prima persona che io incontrai in carcere, a Cagliari, mi scrisse una lettera bellissima che lessi alla presenza del Papa a Rebibbia. Mi raccontò la sua storia: dopo una rapina e il carcere, è uscito, si è sposato, aveva avuto una figlia, ma non trovando un lavoro è tornato a fare il rapinatore. Se quella persona avesse avuto un lavoro forse non l'avrei ritrovata in carcere 30 anni dopo".