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Sud Sudan, escalation di violenza sui bambini: evirati e lasciati morire

Notizie indicibili sulla situazione del giovane stato africano. Abbiamo intervistato il portavoce di Unicef in Italia Andrea Iacomini: "I bambini sono diventati strumento di guerra. Non sappiamo più a chi rivolgerci"

sud sudan
-afp

"Le violenze sui bambini in Sud Sudan hanno raggiunto un nuovo livello di brutalità".

Nel solo Stato di Unity in tre settimane a maggio sono stati uccisi 129 piccoli. La denuncia è del direttore generale dell'Unicef, Anthony Lake, che rende noti dettagli raccapriccianti: bambini evirati che muoiono dissanguati, bambine di 8 anni violentate e uccise. "L'inasprimento di queste aggressioni è indicibile - dice Lake -, ma dobbiamo parlarne". Il portavoce di Unicef Italia: "Le Nazioni Unite si siedano ad un tavolo, la situazione non può continuare"

Prendersela con i bambini come ultimo livello di violenza possibile per dissuadere l'avversario: un escalation a cui in Sud Sudan si è arrivati in appena tre anni di guerra. Terribili le dichiarazioni di un assalitore riportate dal rappresentante Unicef in loco, Jonathan Veich:"Dicono che l'uccisione dei figli degli avversari va fatta subito, per evitare che crescano e possano vendicarsi".



Ma perché? Questa è la prima domanda che poniamo al

portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini,

ed è la prima domanda che chiunque legga i report delle organizzazioni internazionali che si occupano di infanzia non può evitare di farsi.



Perché proprio i bambini?

I minori sono diventati l'obiettivo della guerra, il modo in cui le due fazioni in campo si intimoriscono a vicenda scambiandosi messaggi in codice per dimostrare a che livello di violenza sono in grado di arrivare".



Quali sono le fazioni in campo e perché si combattono così?


Molto difficile semplificare la situzione. Il Sudan del Sud è uno stato giovane, esiste appena dal 2011 ed ha avuto fino ad ora un governo stabile. Dopo la separazione dal Sudan nel 2005 - una guerra civile atroce con milioni fra morti e sfollati - ormai da tre anni imperversa la guerra civile. Un conflitto etnico che ha già fatto 50mila morti e che coinvolge due fazioni: i Dinka, filogovernativi e appoggiati dal presidente Kiir e i ribelli fedeli all'ex vicepresidente Machar e da lui assoldati. I primi sono a maggioranza musulmani, gli altri a maggioranza cristiani, ma è impossibile tracciare dei confini etnici e religiosi ben definiti.



Ci sono interessi economici in ballo?

Il sud dello Stato è ricco di petrolio, ma le infrastrutture per lo sfruttamento della risorsa sono a nord: questo è il motivo di divisione al centro del conflitto. Il Sud Sudan è uno stato potenzialmente molto ricco, per cui è possibile immaginare uno sviluppo e una prospettiva. Ma questa guerra terribile deve finire al più presto.



Come porre fine al conflitto e qual è il vostro ruolo lì?


E' assolutamente urgente che le Nazioni Unite si siedano ad un tavolo e si confrontino sulla questione. Ma non dimentichiamoci che l'Onu è formato da Stati, che devono cominciare a dare attenzione al problema e impegnarsi per risolverlo. Al momento nella regione non ci sono stati interventi di tipo militare, ma solo quelli di organizzazioni umanitarie. Noi cerchiamo di dialogare con tutte le parti in causa per convincerle a isolare il più possibile i bambini dal conflitto, anche perché su di loro le conseguenze, anche psicologiche sono - come potete immaginare - devastanti. Sarebbe importante che un segnale venisse dalla stessa Africa, per esempio a partire dagli Stati aderenti all'Unione Africana.



Qual è il futuro per i bambini, in una situazione di fame, guerra e assenza di strutture

?

Se la guerra finirà questi ragazzi potranno crescere in questo Paese, ma al momento la situazione è gravissima: 7 su 10 non vanno a scuola. Dobbiamo far capire loro che devono frequentare la scuola, acquisire consapevolezza, capire che la guerra è una cosa sbagliata. Alcuni sono cresciuti facendo i portantini, i cuochi, i messaggeri per i miliziani, quando non sono stati reclutati nel ruolo di bambini soldato, come capita già ad almeno 12mila di loro.



Ci sono profughi e sfollati?


Non abbiamo numeri precisi ma ce ne sono molti. Il grosso problema di questo piccolo paese - che fa 12 milioni di abitanti - sono i suoi confini: a nord il Sudan, da cui si è appena staccato in modo violento; a ovest la Repubblica Centrafricana, dove è appena finita una guerra civile e dove i bambini venivano trovati morti sui letti dei fiumi. Poi Uganda, Congo ed Etiopia. Confini estremamente caldi di paesi dove la situazione non è affatto stabile. I profughi spesso non sanno dove andare.