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Rush finale per la Brexit, ma Londra non transige sul "caso Irlanda"

Per la premier Theresa May ci sono pochi nodi da risolvere, ma sono seri, e "non sarà accettato un accordo sullʼIrlanda del Nord che minacci lʼintegrità territoriale britannica". Tusk: "Prepararsi a un no deal"

Rush finale per la Brexit, ma Londra non transige sul
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Trattative frenetiche in vista del vertice Ue a 27 sulla Brexit.

Uno dei punti più critici è rappresentato dal problema di come poter mantenere aperto il confine tra l'Irlanda del Nord e l'Irlanda, membro dell'Unione Europea, dopo che il Regno Unito lascerà l'Ue. Per la premier Theresa May ci sono pochi nodi da risolvere, ma sono seri, e "non sarà accettato un accordo sull'Irlanda del Nord che minacci l'integrità territoriale britannica".

Per la premier britannica l'accordo rimane "raggiungibile", come ha sottolineato la stessa May di fronte a una Camera dei Comuni dove appare di giorno in giorno più sola: aggrappata alla mancanza di alternative immediate, ma incapace di raccogliere il consenso "senza se e senza ma" di quasi nessuno.

May: "No ad accordo che minacci l'integrità del Regno Unito" - Nel suo aggiornamento sulla situazione negoziale, tornata apparentemente allo stallo dopo i sussurri e le grida di domenica su una fantomatica intesa, la premier Tory non ha detto granché di nuovo. Ha ripetuto, a beneficio dei falchi brexiteers di casa sua e dei vitali alleati della destra unionista nordirlandese del Dup, che il governo non firmerà nulla che "minacci l'integrità" del Regno o allenti il legame con l'Ulster. E che il backstop preteso da Bruxelles come meccanismo di garanzia per assicurare ove necessario l'intangibilità di una frontiera senza barriere in Irlanda anche dopo la fase di transizione post Brexit già delineata fino al 31 dicembre 2020 potrà essere accettato solo come un'ipotesi a termine. Non certo "a tempo indefinito".

Un paletto che tuttavia i 27 non mostrano al momento d'essere intenzionati a digerire, a dispetto della convinzione di May che la quadratura del cerchio resti a portata di mano, che ci siano stati "progressi importanti" (al di là di "poche, ma serie" questioni da risolvere), che "nessuno voglia un no deal" e che occorra mantenere "calma e sangue freddo".

Tusk tra richiami all'ottimismo e moniti a prepararsi a "un no deal" - Nessuno, va detto, pratica in queste ore il linguaggio della rottura. Anche se il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, oscilla fra richiami alla "fiducia" e moniti a prepararsi "responsabilmente a un no deal" vicino come mai prima. Il capo negoziatore europeo Michel Barnier predica in ogni modo "pazienza", al pari della cancelliera tedesca Angela Merkel e degli altri leader che contano nel continente.

La possibilità di protrarre il negoziato fino a dicembre - A Bruxelles si mormora che la premier britannica potrebbe persino disertare mercoledì sera la cena di lavoro introduttiva del prossimo vertice, per evitare di dover sancire un'ennesima, pressoché scontata, fumata nera. Ma si lascia aperta in effetti la porta alla prospettiva dei tempi supplementari: di quel vertice straordinario già previsto come soluzione di riserva per metà novembre; senza escludere di tenere la baracca del negoziato in piedi anche più in là, "fino a dicembre", come suggerisce esplicitamente da Dublino il premier irlandese Leo Varadkar, interessato come nessuno a trovare una soluzione purchessia.

May verso il "calvario" del passaggio parlamentare dell'accordo - Soluzione destinata d'altronde a passare per il governo May sotto le forche caudine di un passaggio parlamentare che la seduta di lunedì alla Camera dei Comuni ha confermato potersi trasformare in un calvario. Fra le paure furiose degli unionisti nordirlandesi, l'opposizione di un Labour che sente profumo di elezioni anticipate e si dice pronto per bocca di Jeremy Corbyn a chiudere anche domani un'intesa con l'Ue sulla permanenza nell'unione doganale sia dell'Irlanda del Nord sia del resto del Regno, e soprattutto fra i veti incrociati interni alla parrocchia Tory. Da un lato la robusta corrente euroscettica di Boris Johnson e soci, che bolla come "vergognoso tradimento" del mandato referendario del 2016 ogni ipotetico cedimento; dall'altro quelli del pugno di conservatori "eurofili", unitisi ormai alle file di chi chiede un secondo referendum (escluso ancora una volta categoricamente dalla premier).