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Quando i Giochi fermavano le guerre

Parte lʼOlimpiade e si muore in Ossezia

Quando i Giochi iniziano, si interrompe la battaglia.

E’ forse la regola tramandata dalle Olimpiadi dell’antica Grecia che si ricorda di più e che, nelle edizioni moderne, è rispettata meno. Un paradosso che ha trovato la sua massima espressione proprio in queste Olimpiadi appena inaugurate. Nel giorno in cui si è aperta la XXIX edizione dei Giochi, è scoppiata la guerra tra Russia e Georgia, che si contendono la regione caucasica dell’Ossezia del sud.

Un conflitto che in meno di 48 ore ha fatto più di 1500 morti e 30mila profughi. Neanche il tempo di iniziare che dunque l’Ekecheiria, la tregua olimpica come la chiamavano gli antichi greci, è stata violata. In realtà nella storia dei Giochi moderni, l’Ekecheria non ha mai avuto buona sorte, ma ci si ostina ad associare alle Olimpiadi quei concetti di fratellanza, pace e unione tra i popoli con i quali il barone De Coubertin, nel 1896, partorì la versione moderna dei Giochi di Olimpia.

In oltre 110 anni di storia e 29 edizioni, l’ossimoro tra Olimpiadi e guerra si è manifestato molte volte in molteplici forme. I due conflitti mondiali risucchiarono tre edizioni dei giochi: 1916, 1940 e 1944. A Città del Messico, nel 1968, la guerra si trasformò in guerriglia assassina. Settembre nero e il bagno di sangue che seguì alla sua offensiva, invece, si portarono via la spedizione israeliana a Monaco 1972.

E ancora, il conflitto tra i due fronti della cortina di ferro, che si combattè ai Giochi di Mosca nel 1980 e quattro anni dopo a Los Angeles. Prima gli americani boicottarono i Giochi sovietici per protestare contro l’invasione dell’Afghanistan, poi furono i sovietici a ricambiare il gesto. E poi l’apartheid che ha tenuto fuori gara il Sudafrica dal 1960 fino a Barcellona 1992, quando i balcani erano in fiamme e gli atleti jugoslavi (serbi, bosniaci e montenegrini) furono costretti a partecipare sotto la bandiera neutra del Cio.

Dal momento che sono iniziate, le Olimpiadi non si sono mai fermate e sarà così anche a Pechino. Un’Olimpiade che i cinesi hanno voluto aprire l’8 agosto 2008, una data considerata fortunata. E invece le Olimpiadi iniziano già macchiate dal peccato originale delle violazioni dei diritti civili e delle violenze in Tibet e da una nuova guerra nel Caucaso.

La tregua olimpica sembra essere ridotta a un romantico auspicio e nulla più. Eppure alla mente riaffiorano immagini ben diverse, come quelle di un’emozionata Cathy Freeman, che impugna fiera la fiaccola olimpica e accende il braciere di Sidney 2000. Lei, atleta aborigena australiana scelta dai bianchi per suggellare tante scuse e una pace fatta. Cathy Freeman è un’immagine di riconciliazione che, a dispetto dello spirito olimpico, i Giochi hanno offerto raramente, tradendo così l’idea di De Coubertin. Ma proprio l’ultima tedofora di Sidney 2000 dimostra che il progetto del barone è realizzabile. Peccato che nessuno sembra crederci veramente.

Viviana Pentangelo