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In Italia i quattro reporter rapiti in Siria

La prime parole dellʼinviato Rai Ricucci dopo la liberazione: "Stiamo bene, eravamo in mano a un gruppo islamista armato". La giornalista freelance Susan Dabbou: "Siamo dei miracolati"

Ansa

"Stiamo bene". Ecco le prime parole dei giornalisti italiani rapiti e liberati in Siria: l'inviato Rai Amedeo Ricucci, il fotoreporter Elio Colavolpe, il documentarista Andrea Vignali e la giornalista freelance Susan Dabbous, di origini siriane, erano stati fermati nella zona di Aleppo il 4 aprile. L'annuncio è stato dato dal premier Monti. I 4 reporter sono arrivati all'aeroporto di Ciampino attorno alle 22.

Ricucci, contattato dopo la liberazione, ha rassicurato sulle condizioni di salute del gruppo: "Stiamo tutti bene. Ci hanno trattato bene e non ci hanno torto nemmeno un capello", ha dichiarato l'inviato Rai. "Eravamo in mano a un gruppo islamista armato che non fa parte dell'Esercito libero siriano. È stato un malinteso". Ricucci ha poi aggiunto alcuni dettagli sui nove giorni trascorsi nelle mani dei sequestratori: ''Ci hanno tenuti in posti diversi, per certi versi non delle vere e proprie prigioni, per altri aspetti sì''. Raggiunto telefonicamente da RaiNews24 ha poi sottolineato di “trovare di cattivo gusto” che qualcuno possa pensare che i quattro non abbiano preso le debite precauzioni: ”Siamo stati cauti fino all'ennesima potenza''.

La prima telefonata Ricucci l'ha riservata alla madre Rachele, 82 anni: 'Mi ha chiesto scusa per la preoccupazione di tutti questi giorni. Era stato appena liberato e al telefono ha chiesto scusa a me, che non so come esprimere la mia felicità e la mia contentezza”, ha dichiarato l'anziana all'Ansa.

Dalla Farnesina arriva la precisazione del vice ministro degli Esteri Staffan de Mistura, secondo cui i giornalisti “sono stati trattenuti, non rapiti, da un gruppo armato siriano”. De Mistura ha poi aggiunto che ''l'importante è il risultato: che sono liberi'', sottolineando poi che la vicenda ''ha rappresentato un ottimo esempio di come la stampa italiana ha rispettato il silenzio stampa''.

Soddisfatto anche il ministro per la Cooperazione Internazionale, Andrea Riccardi, che ha posto l'accento sulla situazione siriana: ''Sento una profonda angoscia per la Siria, un Paese ostaggio della violenza e della mancanza di dialogo'' ha detto il ministro, ''a questo abisso umanitario non possiamo assistere impotenti anche perché con il tempo la crisi può travolgere il Libano con l'afflusso dei rifugiati''.

Il Quirinale ha reso noto che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha appreso con "sollievo e soddisfazione" la notizia della positiva conclusione della vicenda.

L'arrivo in Italia - In serata i quattro sono rientrati in Italia con un un aereo speciale, un Falcon, atterrato all'aeroporto militare di Ciampino. Poco prima dell'arrivo dell'aereo, lo zio di Susanna Dabbous, Toni Mira, redattore capo di Avvenire, ha raccontato la telefonata avuta con la freelance. "Per lei sono stati momenti di forte tensione e preoccupazione - ha detto - però, alla fine, l'ho sentita anche molto allegra. Mi ha riferito di aver pensato molto alla nonna materna Margherita, che è morta alcuni anni fa e 'che sicuramente mi ha protetta dal cielo' e poi ho pensato a papa Francesco. Come mai? Perché, ha spiegato, non bisogna mai arrendersi'".

Nella pagina seguente il racconto dei reporter

"Siamo dei miracolati"- "Mi arrivano tante email di chi mi chiede consigli su come entrare in Siria: sconsiglio a tanti giovani colleghi di andare, la situazione è decisamente peggiorata, e non tutti possono contare sull'appoggio di uno Stato come quello italiano". Così Susan Dabbous ha ringraziato l'Unità di crisi della Farnesina per la liberazione. "Siamo dei miracolati", ha aggiunto "Siamo stati trattati bene, certo non ci hanno mai aggredito e non siamo stati mai picchiati. tuttavia essere trattenuti senza sapere fino a quando, è stato angosciante, non è stato affatto facile dal punto di vista psicologico, a poco a poco si è trasformato in un incubo. Insomma sono stati dieci giorni estremamente duri", ha ricordato Susan Dabbous.

In una stanza separata - Ha raccontato di aver vissuto in una stanza separata ma rassicurata dalle voci dei tre compagni che sentiva nella stanza vicina. Poi la giornalista si è lasciata andare ad uno sfogo: "Voglio dire che sulla Siria i riflettori erano già spenti ed è questa la ragione per cui siamo stati trattati male come giornalisti, ed è la ragione per cui verranno trattati male tutti i prossimi giornalisti. Non è colpa della stampa, è colpa della comunità internazionale che dopo due anni ha permesso un massacro inverosimile, senza precedenti nella storia. E' questa la ragione - ha concluso la giornalista - per cui noi andiamo e rischiamo la vita: ci odiano non in quanto giornalisti, ma perché nulla sta cambiando". 

"Trattati con i guanti" - "Il nostro è stato una sorta di fermo molto prolungato, che però si è risolto in un modo positivo. Nonostante tutto ci hanno trattato bene, direi con i guanti bianchi. Paura? Sì, c'è sempre perché in zona di guerra può succedere di tutto", così l'inviato Rai, Amedeo Ricucci. "Le giornate si sono svolte stando chiusi in una stanza, molti di loro non parlavano né inglese né francese, solo l'arabo e quindi non abbiamo avuto molti contatti se non con i capi del gruppo che si sono mostrati sempre disponibili. Abbiamo fatto la loro stessa vita, mangiato come loro, un pugno di zuppa di ceci, e per dormire ci hanno offerto le loro stesse brande. Insomma niente di più e niente di meno di quello che offrono a se stessi". Perché vi hanno preso? "Molto probabilmente - la risposta di Ricucci - siamo stati bloccati perché potremmo avere filmato qualcosa che loro non volevano, probabilmente un loro check point e anche una chiesa distrutta e profanata in una zona di cui il gruppo aveva preso possesso solo da una settimana".

Quanto ai sequestratori, "non avevano nulla a che vedere con l'esercito siriano libero: è un gruppo islamista armato che ha nella fede il proprio elemento portante". "Per me come giornalista la vicenda vissuta offre lo spunto per capire quanto stia diventando sempre più difficile fare questo lavoro da indipendente - conclude Amedeo Ricucci - la cosa drammatica è che i belligeranti non hanno più bisogno dei giornalisti, per cui li trattano come chiunque altro. E così diventa sempre più rischioso fare questo mestiere".