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Il contributo degli Stati Uniti

Lʼeconomia Usa gode di buona salute, il mercato del lavoro è in ripresa. Il quadro a pochi giorni dal cambio di amministrazione

L'economia statunitense continua a mostrare segnali importanti di vitalità, di fatto trainando la crescita globale.

Anche le recenti stime del Fondo monetario internazionale – che prevedono per l'anno in corso un aumento del Pil mondiale del 3,4% e del 3,6% nel 2018 – vanno in questa direzione: +2,3% nel 2017 (+0,1%, cioè, rispetto alle stime di ottobre), +2,5% nel periodo subito successivo (+0,4 punti percentuali sulle precedenti previsioni).

Ma il FMI dice anche altro e tutto ruota attorno al percorso che intraprenderà la nuova amministrazione Trump, che si insedierà ufficialmente tra pochi giorni. Le stime di crescita (anche globali) potrebbero migliorare nell'ipotesi che gli stimoli all'economia promessi dal presidente eletto diano presto i frutti sperati. Ma resta l'incertezza su diverse questioni e non si escludono rischi legati al protezionismo.

Non è un segreto che Trump sia orientato ad una maggiore “tutela” dei prodotti nazionali, sostenendo le esportazioni e disincentivando le importazioni provenienti soprattutto da quei paesi la cui bilancia commerciale pende dalla loro parte (Cina in primo luogo). L'economia statunitense presenta spesso un saldo negativo: a novembre, ad esempio, ha registrato un disavanzo di 45,2 miliardi di dollari (dai 42,4 del mese precedente), dovuto al calo delle esportazioni dello 0,2% mentre le importazioni sono cresciute dell'1,1%.

L'impennata del Pil statunitense nel terzo trimestre 2016 – +3,5%, la crescita più alta degli ultimi due anni – è stata spinta soprattutto dalla domanda interna, con la spesa dei consumatori in aumento del 3% e gli investimenti delle aziende private su dell'1,4%. E ancora, a dicembre, le vendite al dettaglio hanno registrato una crescita dello 0,6% mentre l'indice ISM del settore manifatturiero è salito a 54,7 punti, consolidando l'attuale fase espansiva: tanto i nuovi ordini quanto la produzione risultano ai massimi da due anni.

Dunque, la prossima amministrazione Usa erediterà un'economia sostanzialmente in buona salute. Il mercato del lavoro – cui la Fed presta particolare attenzione per determinare le misure di politica monetaria – ha evidenziato progressi in questi anni. Nell'ultimo mese del 2016 il tasso di disoccupazione è salito di un decimale rispetto a novembre, attestandosi al 4,7%. Non necessariamente un fatto negativo, se consideriamo in questo senso l'incremento della forza lavoro.

Negli anni della risalita economica, infatti, molte persone hanno smesso di partecipare al mercato del lavoro – il tasso di partecipazione alla forza lavoro è il rapporto tra forza lavoro (occupati e disoccupati in cerca di impiego) e popolazione  –, un trend che si è cominciato ad osservare in maniera più marcata a partire dal 2010.

Al netto di luci e ombre, fisiologiche anche nelle migliori economie, si registra comunque ottimismo. Nonostante le posizioni protezionistiche, alcuni analisti ritengono invece che gli stimoli fiscali promessi da Trump (e il così rinnovato contributo della domanda interna) potrebbero sostenere il commercio, che si attende quantomeno in risalita dopo un 2016 in affanno. Una condizione, in un'ottica perciò positiva, che potrebbe favorire anche l'export italiano, essendo gli Stati Uniti il nostro primo partner commerciale extra-Ue.