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Lavoro: studiare all'estero può essere una grande opportunità

Disoccupazione di lunga durata dimezzata tra i giovani laureati. Benifici anche per lʼeconomia del Paese ospitante

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lapresse

Il caso francese è un esempio significativo: l'economia ha ottenuto molti vantaggi dalla presenza dei tanti studenti stranieri che hanno deciso di studiare nelle università transalpine. Ma lasciare la propria casa, per svolgere parte della propria carriera universitaria all'estero, rappresenta un vantaggio anche per gli studenti. Come dimostrato da uno studio della Commissione europea.

Un'indagine dell'Istituto BVA per l'agenzia Campus France ha cercato di quantificarne l'impatto economico. Il risultato è sorprendente: il contributo netto è di circa 1,7 miliardi di euro. Una cifra notevole, frutto del rapporto tra i 3 miliardi di spese sostenute dallo Stato francese e i 4,65 miliardi generati dai tantissimi studenti sparsi per il Paese: soltanto nel 2013-2014, le università transalpine hanno ospitato 295.084 universitari provenienti da altri Paesi (l'11% in più rispetto a cinque anni fa).

Secondo il computo dell'Istituto BVA, gli studenti stranieri consumano beni e servizi per 3.250 milioni di euro e spendono 563 milioni in tasse. Ma la loro presenza è utile anche al settore turistico: le compagnie aeree transalpine hanno venduto biglietti per 364 milioni di euro, mentre l'indotto generato da parenti ed amici che fanno visita ai giovani è stato pari a 466 milioni di euro, generando 12 mila posti di lavoro in più.

Come vanno le cose in Italia? Difficile dirlo: studi che quantificano l'impatto economico degli studenti stranieri non sono stati fatti. Tuttavia pur ospitando un numero di gran lunga inferiore rispetto a quello francese (gli studenti stranieri iscritti in "qualsiasi ateneo italiano" nel 2012-2013 erano 67.671, secondo i dati dell'ISTAT) l'Italia è una delle dieci mete preferite per chi sceglie di svolgere parte della propria carriera universitaria all'estero. Alcuni dei quali decidono di farlo nell'ambito del progetto Erasmus, il programma di scambio per studenti dell'Unione europea.

Cinque anni dopo aver conseguito la laurea, il tasso di disoccupazione tra gli studenti Erasmus è inferiore del 23%, secondo un recente report della Commissione europea. Chi completa la propria formazione all'estero, sostiene lo studio, diviene infatti più 'appetibile' agli occhi di eventuali datori di lavoro, il 64% dei quali considera l'esperienza internazionale importante per le assunzioni (nel 2006 era il 37%). I disoccupati di lunga durata – ovvero tutti coloro che sono alla ricerca di una nuova occupazione da più di dodici mesi o da più di sei mesi se giovani – risultano praticamente dimezzati tra i giovani che hanno studiato lontano dal proprio Paese.

Nonostante i brillanti risultati ottenuti dal progetto Erasmus, l'Unione europea ha deciso di introdurre un importante cambiamento. A gennaio è stato infatti avviato Erasmus +, che sostituisce gli attuali programmi d'apprendimento permanente (Comenius, Erasmus, Grundtvig e Leonardo da Vinci, Comenius), Gioventù in Azione e cinque programmi di cooperazione industriale (Erasmus Mundus, Tempus, Alfa, Edulink) e il programma di cooperazione bilaterale con i paesi industrializzati.

Il bilancio messo a disposizione dell'Unione europea è di circa 15 miliardi di euro per i prossimi sette anni (il 40% in più rispetto al programma precedente, osservano da Bruxelles). Soldi stanziati in un momento difficile per tanti giovani europei (nell'UE sono quasi 6 milioni quelli disoccupati) nonostante gli oltre 2 milioni di posti vacanti. Un terzo dei datori di lavoro, osserva l'Unione europea, segnala difficoltà ad assumere personale in possesso delle qualifiche richieste.