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Perché i giovani italiani sono tra i più svantaggiati

Salari tra i più bassi in Europa e andamento altalenante del mercato, così è difficile costruirsi una certa stabilità

Non sono passati inosservati, qualche giorno fa, i dati Istat sui giovani italiani tra i 18 e i 34 anni che ancora vivono a casa con i genitori, in molti casi anche se lavorano.

Si tratta in verità di una tendenza già osservata prima della crisi, a conferma di un'attitudine in fondo consolidata nel nostro paese. Ma precarietà e retribuzioni basse fanno la loro parte e negli ultimi anni la situazione è talvolta peggiorata.

Partendo da qui si capisce perché la questione merita più di una considerazione. Gli under 35 non sposati che vivono sotto lo stesso tetto dei genitori rappresentano il 62,5% del totale. Nel 35,5% dei casi si tratta di studenti, nel 29,7% di disoccupati, nel 31,8% di occupati. La quota più alta di giovani a casa con mamma e papà viene rilevata nel Mezzogiorno, ma Centro e Nord non distano molto.

Il tema retribuzioni, per chi lavora, è uno dei più spinosi. Un'analisi di JobPricing per Il Sole 24 Ore aveva evidenziato che i dipendenti italiani tra i 25 e i 34 anni di aziende private percepiscono uno dei salari di ingresso tra i più bassi d'Europa (23.586 euro lordi all'anno, pari a 1.312 euro netti su 13 mensilità), eroso in gran parte dal fisco. Per un giovane lavoratore precario le cifre diminuiscono ulteriormente. In generale l'Ocse colloca l'Italia agli ultimi posti per retribuzioni reali.

Non a caso alla fine dello scorso anno, il presidente dell'Inps, Tito Boeri, aveva lanciato l'allarme: coloro che appartengono alla generazione 1980 rischiano di lavorare fino a 75 anni e prendere un assegno del 25% rispetto ai pensionati di oggi. Per chi vive di contratti precari la situazione si prospetterebbe più grave, se possibile.

Se si guarda ai livelli occupazionali, infine, ci si accorge di quanto non aiuti un andamento del mercato del lavoro ancora troppo altalenante. In attesa della pubblicazione dei nuovi dati Istat su occupati e disoccupati mensili, quelli relativi al mese di luglio possono aiutare a comprendere il trend.

In un mese, da giugno a luglio, gli occupati nella fascia di età 25-34 anni contano -38 mila unità, mentre i disoccupati sono aumentati di 24 mila. Su base annua la diminuzione degli occupati è pari a 10 mila unità, l'aumento dei disoccupati è di 25 mila unità. Pertanto si scopre che nella fascia di età centrale, che comprende le persone dai 25 ai 49 anni (quella cioè che dovrebbe rappresentare lo zoccolo duro della forza lavoro), in un anno si sono persi 145 mila posti (ma 135 mila solo nella fascia 35-49 anni). Un dato che ci ricorda, coinvolgendo giovani e meno giovani, che la crisi non può dirsi ancora conclusa.