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Negozi tradizionali in difficoltà

Dal 2011 al 2015 Confesercenti ha registrato 207mila aperture e 346mila chiusure tra i negozi, ristoranti e bar per un saldo negativo di circa 140mila attività

Il 2016 è iniziato in modo positivo per i venditori a domicilio, che non sembrano risentire del generale calo dei consumi delle famiglie italiane registrato negli ultimi anni e che invece ha avuto un impatto negativo sui negozi tradizionali.

Secondo Univendita – l'associazione che raggruppa le imprese attive nel comparto, che impiegano complessivamente 140.700 venditori –, il giro d'affari delle vendite a domicilio è cresciuto (ininterrottamente) dal 2010 ad oggi. Soltanto nel primo trimestre del 2016, il fatturato è aumentato del 2,8% rispetto ai tre mesi precedenti, raggiungendo i 407,6 milioni di euro. Un risultato positivo in un periodo non particolarmente felice per buona parte dei commercianti.

Stando a uno studio dell'Osservatorio Confesercenti sui dati ISTAT, nei primi due mesi del 2016 oltre 12mila negozi hanno chiuso i battenti (a fronte di 3.156 aperture). I motivi sono diversi, sottolinea Confesercenti. Secondo cui, oltre all'incerta situazione economica attuale, i piccoli negozi stanno vivono momenti di difficoltà a causa anche della liberalizzazione degli orari, “che ha favorito la grande distribuzione”. Inoltre, Confesercenti osserva che altri fattori (il caro affitti, l'incremento di imposte e tariffe) stanno spingendo il commercio “verso la strada e il web”: nel 2015 il commercio ambulante di prodotti vari ha registrato 9.705 iscrizioni.

Quanto registrato nei primi due mesi del 2016 è in linea con il trend registrato negli ultimi anni. Secondo Confesercenti, dal 2011 al 2015 il commercio in sede fissa, la ristorazione ed il servizio bar hanno registrato circa 207mila aperture e 346mila chiusure, per un saldo negativo di poco meno di 140mila attività. Solo nel 2015, seppure meno consistente rispetto a quello rilevato nel 2014 (-34mila), il saldo tra aperture (36.757) e chiusure (65.824) di negozi, bar e ristoranti è stato negativo (-29mila unità). Probabilmente il calo dei consumi ha influito parecchio.

Secondo il Rapporto 2015 – I consumi delle famiglie della Filcams CGIL in collaborazione con l'istituto di ricerca Tecnè e la Fondazione Di Vittorio, nel 2015 la spesa mensile delle famiglie è risultata inferiore rispetto ai livelli del 2008: le famiglie italiane hanno speso mediamente 1.440 euro al mese per mangiare, le spese per l'abitazione e i pasti fuori casa (il 2% in meno rispetto al 2008), 264 euro per vestirsi, prendersi cura di sé e andare in vacanza (-18,5%), 293 euro per muoversi in città, viaggiare e comunicare (-9,6%), 126 euro per le cure mediche, l'istruzione e l'informazione (-10%) e 208 euro per le altre spese (-9,6%).