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Vuoi lavorare?Scordati la maternità

In Italia, precarietà lavorativa significa sempre più precarietà "sentimentale".

L'allarmante dato è emerso da una ricerca sul lavoro e le donne di Patricia Chiappini, ricercatrice della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’università "La Sapienza" di Roma. Già l’Ires, all’inizio dell’anno, aveva rilevato che nel nostro Paese il lavoro determinato è diventato oramai uno status femminile. Il 53% dei lavoratori infatti, con percentuali maggiori nel Mezzogiorno, è donna.

Partendo da una dato che in questo periodo storico emerge fortemente in tutta la letteratura umanistica, la Chiappini ha condotto uno studio riguardo la caratterizzazione femminile del fenomeno su un campione di 45 donne, dai 20 ai 35 anni. E insieme al suo entourage di collaboratori, si è chiesta innanzitutto se e come le donne percepiscono la differenza tra flessibilità e precariato. Dalle informazioni raccolte, è emerso che nella maggioranza dei casi, se vuoi lavorare, in Italia, sei precaria e se sei precaria non hai tempo né sostegno statale per poter creare una famiglia. Il 27% delle donne intervistate, infatti, dopo il primo figlio abbandona il proprio lavoro. Se sei donna, quindi, a un certo punto della tua vita devi fare una scelta: lavorare come madre o come donna economicamente indipendente.
Cosa sta accadendo? Tgcom lo ha chiesto direttamente alla curatrice della ricerca.

Dott.ssa Chiappini, prima di iniziare a spiegarci i risultati dello studio da voi condotto, puoi dirci chi sono le intervistate?
Il 75% delle donne che ha risposto alle nostre domande ha un contratto determinato e più della metà non fa il lavoro degli studi intrapresi. La maggioranza delle intervistate infatti è laureata in Lettere o in Giurisprudenza o ha studiato per diventare, ad esempio, ballerina professionista, ma fa altro: la commessa, la barista o la segretaria. Lavori spesso dequalificanti rispetto ai soldi spesi dopo anni di sacrifici.

Cosa è emerso dalla vostra ricerca, quali sono le problematiche nelle quali vi siete imbattuti?
E' un momento storico difficile, oltre ad esserci un problema politico c'è soprattutto un problema socio-culturale. Per sfondare il famoso "tetto di cristallo" in Italia le leggi non mancano e se le donne ce la mettono tutta fanno anche meglio degli uomini. Ma a differenza di questi ultimi loro hanno un orologio biologico. Così senza un'adeguata assistenza attraverso politiche efficaci, capaci di incidere sul tessuto socio-culturale prima ancora che in quello economico, tutto ciò è impossibile. 

Nel nostro Paese la discriminazione di genere è un problema reale?
Spesso capita che noi donne abbiamo una percezione distorta della realtà lavorativa. Alla domanda 'tu sei precaria perché sei donna', molte delle intervistate infatti risponde di 'no'. Però, poi, se vuoi essere assunta il datore di lavoro ti fa firmare una lettera di dimissioni senza data, per evitare beghe nel caso volessi crearti una famiglia. E, purtroppo, se hai 26-27 anni, pur di lavorare, tu che sei l’anello debole della contrattazione, accetti e fai finta di non vedere quello che è perseguibile penalmente e che si chiama 'mobbing'.

Non è così in Europa?
No, le donne hanno maggiore visibilità nei posti di potere. Le notorie quote rosa sono rispettate. La donna può essere lavoratrice e madre. Delle donne italiane che vanno in maternità, invece, solo il 20% usufruisce di quella "facoltativa", il restante 80% deve rientrare di corsa al lavoro, non si può permettere un privato per la cura del bimbo, gli asili nido pubblici sono pochi e le rette altissime. Pensa nei Paesi, dove la crisi si sente meno, c’è un sistema imprenditoriale al femminile, dici che ci sarà un nesso?

Anche il rapporto sulla "parità di genere al lavoro" della Social Wacth ha rilevato che il nostro Paese è al 74° posto superato da Thailandia e Uganda...
Sì, purtroppo l’Italia su 172 paesi presi in esame è agli ultimi posti, superata anche dal Ruanda, che, pensa, ha raggiunto il 3° posto nella classifica. Ebbene sì, anche le nazioni africane ci stanno superando. E' davvero strabiliante che un Paese come il Ruanda abbia una politica economica che incentiva attraverso il microcredito l’imprenditoria in rosa e l'Italia no.

Dati sconfortanti...
Sì, soprattutto perché tutto ciò si ripercuote negativamente sulla salute delle donne ma anche degli uomini che hanno sempre più paura per il loro futuro. Non stiamo parlando, quindi, come qualcuno li ha definiti, di 'bamboccioni', ma di persone che grazie a una famiglia alle spalle tenta di rendersi invano indipendente. Se a trent'anni infatti prendo 900 euro al mese come posso permettermi di uscire di casa?

La ricerca tocca anche te, essendo donna, giovane e ancora ricercatrice in un settore, come quello universitario, abbastanza difficile...
Sì, dal conto mio ho il dente avvelenato (ride, ndr), ma fortunatamente non ho mai ricevuto nessuna discriminazione. Se mi parli di incertezza però ti posso dire che noi ricercatori non ce la caviamo troppo bene, anche se la nostra attività lavorativa, a differenza delle intervistate, mantiene in sé una precarietà standard. Io pur lavorando a tutti gli effetti come un professore da 4 anni non ricevo né rimborso spese né retribuzione. E anch’io come le intervistate ho 29 anni e magari vorrei pensare a mettere su famiglia.

Come fai?
Per fortuna lavoro presso un ente privato di formazione e ricerca, A.N.C.E.I.. Nel settore pubblico infatti spesso mancano i fondi. Io ho la possibilità di non mollare, anche aspettando l’esame di dottorato.

Cosa si evince dalla ricerca in parole povere?
Noi donne dobbiamo fare il doppio per ottenere la metà, se non è discriminazione questa...

Un esempio?
Come ti ho detto io lavoro per un ente privato, per il quale sostengo anche dei corsi di formazione, corsi spalla a tutti i cassa integrati. Nei 15 corsi ci sono in media dieci persone per classe, bene, solo il 2% sono uomini! Ciò che è lampante è che anche la cassa integrazione è rosa. Un altro caso che posso raccontare è quello di una mia allieva cassa integrata che ha un figlio di 5 mesi. Da tempo progetta le nozze con il suo compagno, ma ha deciso di non farlo. Infatti, se fosse sposata, sarebbe scartata dalla graduatoria per l'asilo nido. Il suo posto andrebbe a una ragazza madre. Non dico che bisogna discriminare quest'ultima categoria, anzi, ma quantomeno fare delle modifiche nelle liste di scelta. Perché in entrambi i casi, il sostegno dello Stato è di fondamentale importanza.

Qual è la conclusione più allarmante?
La ricerca dimostra che precarietà lavorativa diventa precarietà "sentimentale". 

Siamo praticamente un Paese destinato all'estinzione? 
E' la giusta provocazione. Tengo a precisare che in realtà, l'analisi sociologica in questione è il frutto di due coincidenze reali. La prima è stata la lettura di un libro di Zygmunt Bauman, "Amore Liquido",e subito dopo il racconto di un mio studente che dava corpo alle parole del sociologo polacco.

Cioè?
La ragazza del mio studente è laureata in lingue e per guadagnare qualcosa quando può fa la traduttrice nei congressi internazionali. Ma nonostante l'amore non stanno più insieme. Non potevano vedersi mai. A quel punto, hanno dovuto fare una scelta: famiglia o vita professionale? E così hanno deciso per quest'ultima.

Preoccupante...
Sì, perché la famiglia è un investimento della società, in Italia però non ce ne siamo ancora resi conto. E finché anche l'uomo, ahimè, non potrà partorire, non capirà mai quali sono le reali condizioni della donna nel nostro Paese. E non è vittimismo.


Luisa Indelicato