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Silvia Arguello, dall'infanzia in Honduras ai viaggi in Europa

Una vita da romantica clandestina con un messaggio da diffondere: il mondo “Is not the same without me”

A conclusione di un lungo periodo fitto di impegni, giunto al culmine con la Milano Fashion week, finalmente riesco ad incontrare Silvia Arguello.

Ci vediamo al Mandarin, nel quadrilatero della moda, in una piacevole serata d'inizio autunno. Quando entro nel locale, Silvia è al telefono: organizza con fermezza e disinvoltura i suoi appuntamenti di lavoro, che l'indomani mattina la porteranno dritta a Londra. E' una donna sofisticata ed elegante.

Lo sguardo intenso e vivace di Silvia Arguello rivela immediatamente le sue origini latine; nei suoi occhi si riflettono, come in uno specchio, quella passione e quell'energia positiva che provengono da terre lontane. Impossibile non rimanere ipnotizzati dal suo carisma, mentre racconta come un fiume in piena tutta la sua storia, fatta di culture e tradizioni così diverse eppure così intrecciate tra di loro. Sogno e arte si fondono in un racconto appassionante sino a diventare realtà.

Parlami di te. Da dove vieni? Quali sono le tue origini?
Sono nata negli USA da genitori in esilio: mamma cubana e papà nicaraguense. Ho quindi trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza in Honduras, dove ho frequentato le scuole ed ho conseguito il diploma liceale. Essere vissuta in America Latina, a contatto diretto con la natura e con la realtà sociale del luogo, mi ha formata all'umiltà. I miei genitori, sulla scorta della propria esperienza di vita, mi hanno trasmesso l'importanza dei valori umani sopra ogni cosa. Mi hanno sempre detto: “La ricchezza è nel cuore, non nei beni materiali. I soldi sono aleatori, l'educazione è l'unica eredità importante che ti possiamo trasmettere”.

Com'è stato il tuo primo approccio con la moda?
Ero ancora una bambina. In America Latina, dove vivevo, non esistevano negozi di abbigliamento, non c'era la disponibilità immediata dei grandi marchi. Per le feste di compleanno dei compagni di scuola si acquistavano vestitini al mercato. In quelle occasioni mia mamma chiamava a casa una sarta per farmi confezionare l'abito su misura. E per me lì iniziava la festa! Mi rendo conto oggi del grande privilegio che ho avuto rispetto alle altre bambine. Ero molto piccola ma già avevo le idee chiare e un mio gusto personale; sceglievo tessuti e modelli da sola, dando sfogo alla mia originalità. Sin da allora ho interpretato la moda come uno strumento creativo, attraverso cui affermare la propria personalità e trasmettere i propri valori.

Quale strada hai seguito per poter entrare nel mondo della moda dei “grandi”? Quali sono state le scelte fondamentali che ti hanno fatta diventare Silvia stilista? 
Dopo il liceo, mi sono trasferita in America con l'intenzione di intraprendere un percorso artistico. Mio padre, però, aveva per me dei progetti più concreti: un corso di studi tradizionale per assicurarmi un lavoro stabile. Mi sono così laureata in Marketing e Lingue. Ma, una volta conseguito il titolo, ho deciso di trasferirmi a Parigi per inseguire il mio sogno: la moda. Mi sono iscritta all'Esmod dove ho studiato Moda e Design. Dopo soli tre mesi mi è stata offerta la possibilità di fare uno stage. Contro il parere della mia insegnante, che mi considerava ancora troppo acerba, ho deciso di propormi presso una casa di alta moda. E, quasi per gioco, è iniziata la mia collaborazione con Emanuel Ungaro. La mia professoressa quando l'ha saputo, di fronte alla classe intera, ha commentato: “Ti ritroverai a fare fotocopie!” e subito la mia risposta: “Sì, ma le farò per Monsieur Ungaro ed imparerò direttamente dagli schizzi del numero uno”. Io sono fatta così, inizio dal complicato per arrivare al semplice, è nel mio dna. Accetto con entusiasmo le sfide ed il mio coraggio viene spesso premiato. Ho lavorato due anni per la Maison Ungaro e per me è stata la miglior scuola.

Quindi il trasferimento a Milano e la nascita del tuo marchio Rosa Clandestino. Cosa significa? Perché non hai scelto il tuo nome per firmare le tue collezioni?
Volevo un nome che descrivesse ciò che mi ispira e più mi appartiene. “Rosa” esprime il mio lato femminile, la delicatezza dell'anima e dei sentimenti, la mia esperienza europea, l'eleganza parigina; “Clandestino” si ricollega alle mie radici latino-americane, all'esilio della mia famiglia, al fatto di non essere mai stata cittadina dei luoghi in cui ho vissuto. L'unione di questi due elementi rappresenta la perfetta sintesi di ciò che sono. 

Quali sono i tratti fondamentali della tua personalità che poi possiamo ritrovare nelle tue creazioni?
Amo definirmi una donna “latina”, sensibile, spontanea, estroversa, forte, con una componente di ribellione positiva: non riconosco le tendenze come regole. Il mio è un approccio di pancia, nella vita come nella moda. Ho però da sempre un'attenzione estrema per il dettaglio, sin dai tempi in cui la sarta in Honduras mi cuciva gli abiti per le feste. Le mie collezioni nascono dal cuore, ma il prodotto finito deve essere assolutamente perfetto, in ogni suo particolare.

Ed ora il tuo spirito battagliero ti sta portando ad affrontare una nuova sfida. In cosa consiste il progetto "Milano is not the same without me"?
Sapevo che in occasione dell'Expo 2015 Milano, la città in cui ho vissuto più a lungo e che oggi per me rappresenta la mia casa, avrebbe ospitato milioni di turisti provenienti da ogni parte del mondo; ciascuno di loro sarebbe poi ritornato nel proprio Paese portando con sé un souvenir, probabilmente anonimo, destinato ad impolverarsi su qualche scaffale. Ho pensato invece al significato profondo che ciascuno di noi assume nella vita delle persone che incontra, nel posto in cui si trova, in quel determinato momento; un'impronta che non si cancella e che determina la realtà di quell'attimo, una realtà che in nostra assenza non sarà più la stessa. Così è nata l'idea delle t-shirt e felpe con la scritta: “Milano is not the same without me”. Potrebbe sembrare a prima vista un concetto arrogante, ma in realtà il significato è esattamente opposto: un messaggio positivo che sottolinea il valore di ciascuno di noi nella vita e nel mondo.

Hai già pensato alle evoluzioni del tuo progetto per il futuro?
Gli organizzatori degli MTV EMA 2015, che si sono svolti a Milano, incuriositi dalla mia iniziativa, mi hanno proposto di portare il movimento anche oltreoceano. Sono nati così i miei cappellini: “America is not the same without me”, curatissimi nello stile e nella manifattura. Il progetto interesserà anche altre realtà metropolitane, come Parigi e Londra. Ciascuna città sarà abbinata a capi di abbigliamento o accessori che rappresentino le tradizioni del luogo: il bomber jacket a Parigi, il trench a Londra, e via dicendo…
Il mio progetto porta con sé la volontà di affiliarsi con quelle organizzazioni che sostengono cause di interesse sociale particolarmente sentite in ciascuna delle realtà interessate. In America, ad esempio, sono stati raccolti fondi per tre diverse associazioni (Girl Up, Dress for Success, No More), a coronamento dello spirito essenzialmente umano del mio messaggio.


C'è stato un episodio nella tua esperienza personale che ti abbia realmente motivata a percorrere con ardore questa nuova strada?
Dovevo realizzare alcuni video per sostenere il progetto “America is not the same whitout me”. Il primo giorno di riprese il regista si è presentato con il volto congestionato. Credevo fosse influenzato, invece la notte precedente era mancato il padre. Appena l'ho saputo, gli ho detto di interrompere i lavori e di tornare subito ad abbracciare i propri cari: “Non esiste impegno più importante. Quello che stiamo facendo ora si può rifare. Possiamo riaffittare i locali, reingaggiare gli attori, riprendere tutto esattamente da qui. Ma il tuo dolore va vissuto adesso, non può aspettare”. Il ragazzo, invece, in nome del padre e degli insegnamenti ricevuti, ha insistito per portare a termine il suo lavoro, con amore e straordinaria concentrazione. Quel luogo, quel giorno, quei video non sarebbero stati gli stessi senza di lui.