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Barbara Molteni: Milos, Palazzo Morando, Milano

Nella prestigiosa sede di Palazzo Morando Costume Moda Immagine, situato nel cuore di Milano, fino al 29 maggio si ammira la mostra fotografica Barbara Molteni Zanessis. Milos isole interiori a cura di Philippe DaverioGli oltre quaranta scatti dell'artista, italiana di nascita e greca di adozione, realizzati a Milos dal 2010 al 2013, raccontano le bellezze naturali dell'isola greca nel cuore delle Cicladi.
"
Che cos'è la fotografia se non l'arte di guardare, fissare il guardato e guadarlo (guadarlo ovviamente non guardarlo) nell'occhio d'un altro, nella mente d'un altro. Si può fotografare tutto ciò che si vede. Troppa grazia, sant'Antonio, per fare d'un fotografo un artista. E' nel limitare il campo d'azione che si pone il primo vincolo che porta all'opera. E' nell'approfondire un percorso più che nell'allargarlo che si penetra la coscienza, che è poi il luogo della sensibilità poetica. La macchina fotografica di per se è strumento neutro, esattamente come la tastiera del computer sul quale scrivo. Il dito che scatta, l'occhio che si applica nel mirare altro non sono che il prolungamento della mente e del cuore.
Oggetti inanimati avete voi dunque un'anima
Che s'attacca alla nostra anima e la costringe ad amare
Così scriveva Lamartine pensando alla sua terra d'origine, così fotografa Barbara Molteni che avendo sposato l'architetto Zanessis ha trovato una nuova terra d'origine.
E così pure, inconsapevolmente forse, Barbara Zanessis passa da Lamartine a Baudelaire e scopre che:
La natura è un tempio dove pilastri viventi
Lasciano talvolta uscire confuse parole
L'uomo vi passa in mezzo a foreste di simboli
Che l'osservano con sguardi famigliari.I versi di Baudelaire provengono da una raccolta che si intitola Correspondances e proprio di corrispondenze si tratta nel lavoro di Barbara Zanessis, relazioni intime e profonde che si organizzano, si stabiliscono mentalmente e quindi visivamente fra la natura e l'inquadratura della macchina, quella che la mente e il cuore controllano.
Sicché la natura si fa fonte d'ispirazione per un gioco che è intimamente profondo e poetico, dove le forme rimangono intatte ma la loro definizione, la loro inquadratura, la loro luce diventano evocazioni d'una altra dimensione del vedere, astratta nel modo più etimologico possibile, cioè levata dalla normalità e elevata nell'etere sublime dell'evocazione.
Una natura tra l'altro assai particolare è questa che i secoli trascorsi nei millenni delle pietre hanno formato in immagini che lasciano ogni evocazione possibile, ogni equivoco necessario. Gli dei antichi d'un Olimpo misterioso si celano nei tratti che la macchina fotografica indaga. La Grecia è mito per definizione, quella degli dei, degli eroi, del colore. E al colore s'è aggiunta quella bizzarra modernità che fu lì portata dalle prime fabbriche di vernice già oltre un secolo fa, quando la Grecia entrò nell'ambito dell'industria tedesca, quella che proveniva dalle stesse terre nordiche che alla Grecia avevano dato la monarchia dell'indipendenza. Sicché subito dopo la dinastia reale dei bavaresi Wittelsbach, che diedero alle terre liberate dall'impero ottomano l'azzurro dello stemma di Baviera, venne IG Farben a colorare le barche per offrire loro l'impermeabilizzazione ch'era prima solo quella del nero catrame. E il colore passò sugli stipiti delle porte, nelle isole lontane, e da lì nei dipinti di Giorgio de Chirico che lo riportò nella Baviera d'origine. Oggi il colore ha forse perso la memoria della sua origine e s'è fatto tutto greco, tutto mediterraneo. Si combina con le pietre e con il mare, invecchia nell'eleganza misteriosa delle ruggini, si screpola nella magia dei legni. E tutto si fa evocazione, pietre, ferri, colori, forme solide, acque mosse. Perché, prima che gli archeologi trasformassero la memoria in un sogno bianco di candidi marmi, la terra degli dei s'inebriava in un cromatismo folle, dionisiaco, folgorante e eterno. È curioso che un occhio femminile nato nelle tenerezze cromatiche del lago di Como si converta con simile convinzione alle ebbrezze achee. La Grecia per fortuna perverte, converte. La Grecia, senza chiedere spiegazioni e neppure dandole, attira verso la poesia, laddove il termine ha tuttora un valore etimologico, quello della ποίησις, e dove il significato di fondo viene da ποιέω, quel pulsare profondo e viscerale che è sorgente della vita e dell'esistere. E la τέχνη che ne consegue diventa la fonte di ciò che i romani, quelli del lago di Como appunto, hanno dopo tanti anni chiamato arte, perché corrisponde alla presa di coscienza che si combina con le abilità degli arti appunto, dei quali arti il dito che comanda l'otturatore della macchina fotografica diventa protagonista moderno. Ecco ciò che fa d'una lacustre convertita ai sali marini nel cuore del Mediterraneo, iniziata ai riti d'un'antichità eterna, osservatrice folgorata dalla luce troppo forte, dai colori esaltanti e dai ricordi incontrollabili, una testimone attiva e quindi, molto, molto probabilmente un'altra poetessa dell'Egeo."
Philippe Daverio

Barbara Molteni: Milos, Palazzo Morando, Milano

Nella prestigiosa sede di Palazzo Morando Costume Moda Immagine, situato nel cuore di Milano, fino al 29 maggio si ammira la mostra fotografica Barbara Molteni Zanessis. Milos isole interiori a cura di Philippe DaverioGli oltre quaranta scatti dell'artista, italiana di nascita e greca di adozione, realizzati a Milos dal 2010 al 2013, raccontano le bellezze naturali dell'isola greca nel cuore delle Cicladi.
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Che cos'è la fotografia se non l'arte di guardare, fissare il guardato e guadarlo (guadarlo ovviamente non guardarlo) nell'occhio d'un altro, nella mente d'un altro. Si può fotografare tutto ciò che si vede. Troppa grazia, sant'Antonio, per fare d'un fotografo un artista. E' nel limitare il campo d'azione che si pone il primo vincolo che porta all'opera. E' nell'approfondire un percorso più che nell'allargarlo che si penetra la coscienza, che è poi il luogo della sensibilità poetica. La macchina fotografica di per se è strumento neutro, esattamente come la tastiera del computer sul quale scrivo. Il dito che scatta, l'occhio che si applica nel mirare altro non sono che il prolungamento della mente e del cuore.
Oggetti inanimati avete voi dunque un'anima
Che s'attacca alla nostra anima e la costringe ad amare
Così scriveva Lamartine pensando alla sua terra d'origine, così fotografa Barbara Molteni che avendo sposato l'architetto Zanessis ha trovato una nuova terra d'origine.
E così pure, inconsapevolmente forse, Barbara Zanessis passa da Lamartine a Baudelaire e scopre che:
La natura è un tempio dove pilastri viventi
Lasciano talvolta uscire confuse parole
L'uomo vi passa in mezzo a foreste di simboli
Che l'osservano con sguardi famigliari.I versi di Baudelaire provengono da una raccolta che si intitola Correspondances e proprio di corrispondenze si tratta nel lavoro di Barbara Zanessis, relazioni intime e profonde che si organizzano, si stabiliscono mentalmente e quindi visivamente fra la natura e l'inquadratura della macchina, quella che la mente e il cuore controllano.
Sicché la natura si fa fonte d'ispirazione per un gioco che è intimamente profondo e poetico, dove le forme rimangono intatte ma la loro definizione, la loro inquadratura, la loro luce diventano evocazioni d'una altra dimensione del vedere, astratta nel modo più etimologico possibile, cioè levata dalla normalità e elevata nell'etere sublime dell'evocazione.
Una natura tra l'altro assai particolare è questa che i secoli trascorsi nei millenni delle pietre hanno formato in immagini che lasciano ogni evocazione possibile, ogni equivoco necessario. Gli dei antichi d'un Olimpo misterioso si celano nei tratti che la macchina fotografica indaga. La Grecia è mito per definizione, quella degli dei, degli eroi, del colore. E al colore s'è aggiunta quella bizzarra modernità che fu lì portata dalle prime fabbriche di vernice già oltre un secolo fa, quando la Grecia entrò nell'ambito dell'industria tedesca, quella che proveniva dalle stesse terre nordiche che alla Grecia avevano dato la monarchia dell'indipendenza. Sicché subito dopo la dinastia reale dei bavaresi Wittelsbach, che diedero alle terre liberate dall'impero ottomano l'azzurro dello stemma di Baviera, venne IG Farben a colorare le barche per offrire loro l'impermeabilizzazione ch'era prima solo quella del nero catrame. E il colore passò sugli stipiti delle porte, nelle isole lontane, e da lì nei dipinti di Giorgio de Chirico che lo riportò nella Baviera d'origine. Oggi il colore ha forse perso la memoria della sua origine e s'è fatto tutto greco, tutto mediterraneo. Si combina con le pietre e con il mare, invecchia nell'eleganza misteriosa delle ruggini, si screpola nella magia dei legni. E tutto si fa evocazione, pietre, ferri, colori, forme solide, acque mosse. Perché, prima che gli archeologi trasformassero la memoria in un sogno bianco di candidi marmi, la terra degli dei s'inebriava in un cromatismo folle, dionisiaco, folgorante e eterno. È curioso che un occhio femminile nato nelle tenerezze cromatiche del lago di Como si converta con simile convinzione alle ebbrezze achee. La Grecia per fortuna perverte, converte. La Grecia, senza chiedere spiegazioni e neppure dandole, attira verso la poesia, laddove il termine ha tuttora un valore etimologico, quello della ποίησις, e dove il significato di fondo viene da ποιέω, quel pulsare profondo e viscerale che è sorgente della vita e dell'esistere. E la τέχνη che ne consegue diventa la fonte di ciò che i romani, quelli del lago di Como appunto, hanno dopo tanti anni chiamato arte, perché corrisponde alla presa di coscienza che si combina con le abilità degli arti appunto, dei quali arti il dito che comanda l'otturatore della macchina fotografica diventa protagonista moderno. Ecco ciò che fa d'una lacustre convertita ai sali marini nel cuore del Mediterraneo, iniziata ai riti d'un'antichità eterna, osservatrice folgorata dalla luce troppo forte, dai colori esaltanti e dai ricordi incontrollabili, una testimone attiva e quindi, molto, molto probabilmente un'altra poetessa dell'Egeo."
Philippe Daverio

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