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Dottorando suicida a Palermo nel 2010, padre in sciopero della fame

Norman Zarcone, studente modello di Filosofia, a 27 anni si lanciò dal settimo piano dellʼuniversità: per lui non cʼera un futuro nellʼambito accademico e papà Claudio parla di "omicidio di Stato"

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Ventisette anni, una laurea in tasca in Filosofia con il massimo dei voti e un dottorato quasi al termine: Norman Zarcone il 13 settembre del 2010 si gettò dal settimo piano dell'università di Palermo perché non vedeva il futuro che sperava in ambito accademico. A cinque anni circa di distanza dalla tragedia, il padre dello studente, Claudio, inizia uno sciopero della fame per il mancato riconoscimento del dottorato alla memoria, accusando le istituzioni di "omicidio di Stato". Riceviamo e pubblichiamo il suo appello.

Ho maturato l'idea di fare uno sciopero della fame che mi porterà non so dove. Sfortunatamente, per fare ascoltare la propria voce, c'è bisogno di gesti forti in questa Italietta votata alla cronaca nera come distrazione di massa, alle risse televisive e ai sacerdoti dell'etere. D'altronde, la nostra Serva Italia anemica e pigra, che assegna lauree honoris causa ad autori, registi, campioni dello sport, cantanti rock, presentatori televisivi, produttori di vino e artisti vari, ancora non si indigna per la mancata assegnazione del dottorato alla memoria a Norman, quantunque concluso e meritato, quantunque non spendibile da mio figlio nell'oltretomba. Eppure lo stesso rettore Lagalla, non aveva esitato a dichiarare (col corpo di mio figlio ancora caldo): 'Un giovane impegnato nella ricerca che perde la vita così, deve essere ricordato in modo costante, non soltanto con il titolo di dottore di ricerca ad honorem che pure l'Ateneo gli conferirà' (News del Rettorato n. 67 del 17 settembre 2010).


Ho scritto all'ex ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri chiedendo il suo intervento per un'indagine ministeriale all'interno di quel dottorato di ricerca. Non ho avuto nessuna risposta. Sarà forse, perché di nome non faccio Ligresti? Ho scritto ancora all'ex ministro dell'Università, Maria Chiara Carrozza, la quale mi ha fatto ricevere dal suo dirigente generale, Marco Mancini (un ex rettore) e dal dott. Bani, suo segretario particolare. Tanti bei discorsi e tante belle promesse… Passano giorni e settimane che diventano mesi, allora scrivo mail, una dietro l'altra. Mi attacco alla cornetta e l'alto burocrate si nega più volte finanche al telefono: silenzio istituzionale.


Cambia l'esecutivo di Palazzo Chigi e vengo ricevuto ancora a Roma dal professor Alessandro Leto, segretario dell'attuale ministro Giannini, alla quale avevo scritto. Anche in questo caso molti bla bla bla e si riaffaccia quel silenzio istituzionale che perdura finora. Nessuno che mi dica perché il Miur non abbia avviato un'inchiesta interna e trasmesso gli atti di quel dottorato alla Procura; nessuno che mi spieghi come mai il dottorato a Norman non sia stato assegnato.


Verso il mese di maggio del 2014 vengo contattato dal rettorato, il Magnifico mi invitava alla consegna delle pergamene ai nuovi dottori di ricerca, alla presenza della ministro Giannini. Telefono e chiedo alla segreteria del Miur di poter parlare cinque minuti con la ministro (a Palermo, nel luogo della cerimonia, non a Shangai), mi si dice che la stessa “ha il tempo contato”. Ma come, saremmo stati nello stesso posto, alla stessa ora, a pochi metri l'uno dall'altra, e la Giannini non mi avrebbe consentito cinque minuti?


Fin dai primi giorni dopo l'Epifania di questo 2015, ho chiesto più volte di incontrare il rettore di Palermo. A tutt'oggi non sono stato ricevuto. E mi chiedo, da cittadino, non da padre di un dottorando morto prematuramente: perché è così difficile parlare con le istituzioni? D'altronde il professor Lagalla ha disertato quasi tutte le iniziative nel nome di Norman (tranne un paio), anche le stesse organizzate (teoricamente) dal rettorato, che non ha mai sentito il bisogno di pubblicizzare come fa con altri eventi. Ogni comunicato stampa è stato trasmesso dal sottoscritto, ogni locandina, affissa dagli amici di Norman. Nessun “barone” di Lettere ha mai partecipato alle iniziative del 13 settembre. Il rettore non ha mai promosso come proprie, sentite come proprie, le stesse iniziative nate sotto le insegne dell'Università e ha (quasi) sempre delegato qualcun altro a presenziare. Mentre oggi, a pochi mesi dalla scadenza del suo mandato, si nega. Davvero incomprensibile.


Si sommano i silenzi istituzionali. Non ho alcunché da negoziare, pertanto non sciopero per ottenere qualcosa: voglio solo gridare, con rabbia, con dolore, con tristezza. Grido per riaffermare il diritto al merito di mio figlio. Il diritto al merito dei tanti Norman d'Italia che vengono demotivati, offesi, per fare spazio a qualche nome importante che il sudore sui libri, sul lavoro, non sa nemmeno cosa sia.


Intendo chiedere che si faccia chiarezza su ogni responsabilità attiva o meramente omissiva, questo sì. Mi assale la voglia di prendere a calci nel sedere tutti i complici e i sudditi di quei “demotivatori istituzionali” che si aggrappano ancora alla loro barricata, se penso che Norman non potrà mai dare lezioni di pianoforte ai suoi nipoti. Anzi, non li ha mai conosciuti. Non potranno mai suonare insieme, non potremo mai più suonare insieme, non saremo mai più una famiglia. E quando realizzo nella testa tutto ciò, quando realizzo che mio figlio è morto, ebbene, vorrei morire in quello stesso momento, perché, vedete, Norman non è un fatto di cronaca, un incidente di percorso, ma un ragazzo educato e studioso nato da un atto d'amore.


Capito miei simpatici baroni? Voi, che per punire questo padre che scrive e racconta la storia di suo figlio, non avete mai concesso il dottorato alla memoria a Norman (ripeto: un dottorato ormai alle battute finali), avete idea di cosa significhi ciò, cosa comporti in termini di devastazione interiore la morte di un figlio? Provo dannazione fortissima, mi rodo, mi immalinconisco fino a desiderare la morte se mi soffermo a pensare come e in che modo la vita mi abbia tolto questa gioia suprema, oltre ad avermi tolto la gioia unica, impagabile, di veder dormire mio figlio nel suo letto, dopo una sua giornata di studio e lavoro. Non riesco a guardare una sua foto (eppure casa mia ne è piena) come se non riuscissi a guardarlo negli occhi.


Non ho saputo aiutarlo, questo è il mio inferno privato, molto più sartriano di quanto lo stesso Sartre potesse concepire. Quando cerco un libro, spesso mi imbatto in testi che Norman aveva letto o sui quali aveva studiato, ebbene, miei detrattori dalla mente eccelsa, farvi lontanamente concepire cosa io provi sarebbe impresa miracolosa. Non riesco più a sfogliare molti di quei libri che mi riportano alla memoria l'immagine di mio figlio, chino su di essi a studiare. Ho la sensazione di banalizzare i suoi sacrifici permettendomi di sfogliare quei libri, di oltraggiarlo, per questo a poco a poco sto ricomprando molti testi, per non piangere ogni qualvolta ne tiro uno fuori dallo scaffale, dal quale promana ancora fortissimo l'odore di Norman, delle sue mani, della sua matita sempre appuntita che sottolinea concetti e contenuti, annota ai lati del foglio riferimenti e spunti.


E avverto ancora l'odore del suo sangue sull'asfalto, vengo devastato dalle immagini del suo corpo spiaccicato al suolo, immerso nella sua materia cerebrale fuoriuscita dalla scatola cranica. Respirava ancora quando sono arrivati i soccorsi: quali immagini lo avranno attraversato in quegli ultimi istanti? Mi sento dannato, sono dannato al solo pensiero. Purtroppo è un pensiero giornaliero: fisso, costante. Ecco perché non ho niente da negoziare, ma molto da gridare. Ecco perché mi appello al giornalismo più autentico e meno bacchettone; ecco perché il mio sciopero della fame già iniziato da un giorno, non so dove mi porterà…

Claudio Zarcone

A Norman e alla sua vicenda è stata dedicata una pagina Facebook.