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A Catania gli agricoltori anti-mafia: "Mi bruciano gli alberi? Li ripianto e non mollo"

A Tgcom24 la denuncia di Emanuele Feltri, un giovane siciliano che combatte ogni giorno contro chi vuole cacciare i piccoli agricoltori come lui per speculare sulla terra: "Il nostro messaggio di reazione fa paura a chi non vuole scardinare certi meccanismi - racconta - ma la gente è con noi"

simeto,feltri
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"Nessun uomo è un'isola, perché quando la campana suona, suona anche per te". Parole, del poeta inglese John Donne, che risuonano nel petto e nelle braccia di un 35enne siciliano. Emanuele Feltri lotta ogni giorno contro la mafia rurale che lo vuole cacciare dalla sua terra. Lui infatti è un piccolo agricoltore di Catania, che dopo la laurea in Agraria e svariate esperienze professionali, con molti sacrifici, ha deciso di non emigrare, rimboccarsi le maniche e restare in Sicilia. Così ha acquistato un terreno e aperto un'attività agricola, che rispetta i tempi della natura e rompe con le logiche asfissianti del mercato.

A Catania gli agricoltori anti-mafia: "Mi bruciano gli alberi? Li ripianto e non mollo"

Da allora, però, Emanuele deve lottare ogni giorno contro chi teme il suo coraggio. "Vogliono cacciare i piccoli agricoltori per speculare sulla terra", racconta a Tgcom24. "Hanno incendiato già una prima volta l'agrumeto - spiega - hanno distrutto l'impianto di irrigazione fino ad arrivare all'uccisione di 4 pecore per il controllo delle erbe infestanti. Le ho ritrovate uccise a colpi di arma da fuoco, una di queste con la testa sgozzata davanti alla porta di casa".

Qual è stato l'ultimo episodio?
Risale a settembre. Io e i miei sei collaboratori presidiamo il terreno h24. Dormiamo là, facciamo le attività là... per tre giorni però non ci sono stato, né io né loro. Sono tornato e ho trovato il mio terreno e tutti gli uliveti della zona incendiati. Sono entrati dentro il mio piazzale e hanno rovesciato il serbatoio d'acqua da 500 litri. E già da anni che lo dico: vogliono cacciare gli agricoltori di questa contrada perché ci sono altre mire su queste aree. Mire diverse dal discorso della pastorizia. Bruciano i terreni per farci scappare.

Perché?
Cercano di acquistare altri terreni a costo basso, per prendere poi i grossi contributi europei. Insomma tutte ipotesi che sono in mano alla magistratura che sta seguendo da più di anno la mia vicenda.

Ti sarai fatto un'idea di chi possa essere stato?
Ho delle idee ma non posso renderle pubbliche perché c'è un'indagine seria in corso che ha portato a risultati importanti. Posso dirti che in tutta l'area c'è l'intenzione di far sparire i piccoli agricoltori per comprare a basso costo. Si stanno ricreando i latifondi.

Questi episodi non ti scoraggiano?
C'è tanto lavoro da fare, soprattutto culturale, ma non ci scoraggiamo. Noi rimpiantiamo quello che ci è stato distrutto, facciamo politiche nel territorio che fanno aggregare gli agricoltori. Le persone ci seguono. Se continuano ad attaccarci è perché stiamo minando degli equilibri che per 50 anni ci sono stati e noi questo vogliamo fare; per dare una marcia in più e cambiare direzione in Sicilia, ripartendo dall'agricoltura, bisogna scardinare determinati meccanismi.

Molti non lo farebbero...

E' un atto di coraggio dovuto, chi ha studiato e conosce le problematiche della Sicilia ha il dovere di non abbandonare, di diventare protagonista del proprio futuro costruendo ogni giorno. Facendo anche un'operazione di comunicazione dal basso, affrontando certe tematiche e dando una soluzione. E i riscontri che stiamo avendo anche dal punto di vista lavorativo sono positivi.

Oltre all'attività agricola, sei impegnato politicamente quindi...
Sono il presidente dell'associazione Valle del Simeto che ha seguito in questi anni un progetto di gestione e sviluppo dell'area formata da otto comuni che si affacciano sul fiume Simeto. Questi sono paesi vicini a Catania, che hanno una cultura millenaria e stanno riscoprendo un'identità comunitaria. Da anni lavoriamo per ricucire questa cultura agricola attraverso uno sviluppo sostenibile con tecniche moderne.

Come?
Gli 8 paesi sul fiume Simeto hanno siglato un patto nel quale si pianifica la costituzione di un'agenzia per la programmazione dello sviluppo del territorio e la creazione di progetti. Ci sono infatti tanti fondi Ue disponibili, ma per la mancanza di progettualità spesso non vengono erogati.

Come sta procedendo l'iter?

Questo bellissimo percorso è stato quasi interrotto perché la Regione Sicilia non è stata un'interlocutrice attenta e in seguito ha escluso 5 degli 8 paesi dal finanziamento delle aree interne.

Qual è stata la loro ragione?
Secondo la Regione, includere gli otto paesi è difficilmente gestibile mentre sceglierne tre piccolini potrebbe essere più semplice. Ma noi abbiamo fatto presente che le modalità del Patto del fiume prevedono innanzitutto una progettazione comunitaria: ciò che succede in cima alla valle poi ricade giù, è un sistema fluviale se i depuratori del paesi in cima non funzionano fallisce tutto il piano. E a oggi il fiume è una fogna a cielo aperto, quando invece c'era un'economia fluviale fatta anche di pesca e di tante attività che noi vorremmo riattivare.

Cosa contestate alla Regione Sicilia?
Dobbiamo ragionare in termini di comunità unica non puoi prendere solo tre paesi e rompere un'unione, un'identità unitaria, noi contestiamo questa scelta, al di là dei fondi che dicono che non bastano. Noi non resteremo a guardare.