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Scialpinisti morti sull'Haute Route, il racconto-incubo di un superstite: "Lassù mi ha salvato il pensiero di mia moglie"

Tommaso Piccioli: "Dovevamo tornare indietro, la guida ha commesso troppi errori. Deliravamo. Urlavamo tutti per farci forza poi si è spento tutto"

Scialpinisti morti sull'Haute Route, il racconto-incubo di un superstite:
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"In quei momenti con raffiche di vento oltre i 100 chilometri orari, con la nebbia gelata che non ti fa vedere, il pensiero di lasciarsi morire balena ma poi ho pensato a mia moglie in Australia, ai primi corsi di scialpinismo, che certe volte bisogna tornare indietro, a Bonatti sul K2 e mi sono fatto forza".

A parlare è Tommaso Piccioli, scialpinista superstite del gruppo di sportivi, di cui sette hanno perso la vita, in spedizione sulla Haute Raute tra Chamonix e Zermat. Piccioli ricorda quella terribile notte passata urlando contro il vento per non morire.

"Ho pensato che la metà di quelli che eravamo non saremmo tornati giù. Mi sbagliavo il bilancio è stato peggiore - afferma a La Repubblica -. E' morta la mia amica Betty, Elisabetta Paolucci. Aveva organizzato tutto, aveva anche scelto la guida Mario Castiglioni, uno tosto, che ha fatto il Cerro Torre, Himalaya, la via del martello pneumatico, ma ha fatto troppi errori". "Mi spiace che sia morto, ma lì è morta Betty e anche altri due amici Marcello e Gabriella". 

"Io ero vicino a Betty. Ero arrabbiato con lei che si lasciava andare. L'ho sgridata, le dicevo di muoversi, di non fermarsi, ma lei delirava mi diceva Tommaso aiutami e io le ripetevo di pensare a qualcosa di bello. In quelle condizioni non puoi aiutare che te stesso. Poi ha smesso di parlare , era sotto di me. Io continuavo a fare avanti e indietro, mi dondolavo sulle gambe con una mano mi tenevo alla roccia e con l'altra alla picozza. Un po' così, un po' mi sedevo e gridavo contro il vento. Quando mi sono seduto, lei aveva la faccia nella neve. Allora l'ho girata in su, non volevo che stesse così. Ero sfinito".

"Dovevamo tornare indietro, dovevo insistere". "Abbiamo discusso, la cosa giusta era tornare indietro una discesa facile e il rifugio". "Anzi non dovevamo partire date le condizioni meteo".  E invece la scelta di proseguire. "Quando il tempo è cambiato, la guida voleva fare in fretta, così abbiamo cambiato il percorso, abbiamo preso la Serpentina che non aveva mai fatto, il suo Gps non funzionava, e abbiamo usato il mio orologio Suunto. Gli ho mostrato che per arrivare al rifugio mancavano 500 metri in linea d'aria ma per farlo bisognava fare un giro tremendo, non eravamo più in grado".

"Eravamo tutti stremati, in cammino da dieci ore, senza mangiare e ci eravamo fermati in un punto ghiaccio e roccia. Urlavamo contro il vento per farci forza. Abbiamo passato momenti di delirio, a quelle temperature e così stremati. Io non avevo fame, ero troppo preoccupato nel guaio in cui eravamo e avevo le mani semicongelate non riuscivo ad aprire lo zaino con dentro le provviste. Sentivo di essere in uno stato di percezione alterato, ma mi controllavo".

"Kalina, la moglie della guida, ha gridato 'vado a scavare una truna, un piccolo riparo, bisogna scavare se no moriremo'. Ma non riuscivo a vederla, ho pensato che avesse trovato un posto. Lì, ero vicino alla guida e gli ho chiesto se non andasse ad aiutarla. Mi ha risposto di non vederci più niente, era già inebetito, mi hanno detto che poi è precipitato".