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Thyssen, Cassazione annulla l'appello Per i giudici le pene sono da rivedere

Fu omicidio colposo. I giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso della difesa dei manager imputati per il rogo alla fabbrica dove, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, morirono sette operai. Pene da rivedere. Protesta dei parenti delle vittime

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Le sezioni unite penali della Cassazione hanno annullato con rinvio le condanne ai manager imputati per il rogo della Thyssen. Ci sarà un nuovo processo d'appello a Torino. Nell'incendio, avvenuto la notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, morirono sette operai. Adesso le pene per gli imputati dovranno essere rideterminate ma gli avvocati difensori non si sbilanciano sulla loro "rimodulazione" al rialzo o al ribasso.

E' necessario, hanno detto i supremi giudici, rimodulare le condanne per omicidio colposo e omissione volontaria di cautele contro gli incidenti inflitte ai sei dirigenti della multinazionale tedesca dell'acciaio. Probabilmente al ribasso, ma non si escludono altre possibilità. Gli stessi avvocati difensori, che pure avrebbero dei motivi per dirsi soddisfatti, in attesa delle motivazioni non si sbilanciano a commentare un dispositivo che ritengono "criptico".

I parenti dei sette operai morti nel devastante incendio scoppiato nel dicembre del 2007 si erano raccolti in presidio a Roma con gli striscioni e le foto dei loro cari: avevano sperato in un esito diverso e, nella notte, hanno fatto sentire le loro proteste "perché gli assassini non sono stati condannati".

Operaio superstite: sentenza delude -
"Quella della Cassazione è una sentenza che ci delude perché non mette la parola 'fine' dopo sei anni e mezzo di processi. Speriamo che nel nuovo processo di appello le pene vengano riconfermate. Intanto vorrei capire a fondo la sentenza e tutti aspettiamo le motivazioni della decisione". Così Antonio Boccuzzi, l'operaio superstite del rogo della Thyssen e ora parlamentare eletto nel Pd, ha commentato il verdetto della Suprema Corte.

Quanto agli imputati italiani (per i due tedeschi la procedura è più complessa) in caso di esito sfavorevole erano già addirittura pronti a costituirsi, come aveva spiegato uno dei loro avvocati, Cesare Zaccone, a margine dell'udienza. La difesa aveva messo all'indice la durezza del verdetto di secondo grado (la pena più alta era per l'ex amministratore delegato Harald Espenhahn, dieci anni di carcere, mentre le altre spaziavano dai sette ai nove anni). Nel corso del suo intervento, il professor Franco Coppi aveva affermato che la Corte d'appello era stata troppo severa e aveva parlato di "trattamento sanzionatorio pesantissimo". Sollievo per Marco Pucci, amministratore delegato dell'Ast di Terni: "Sembra il risveglio da un incubo. Ho tirato un sospiro di sollievo", ha commentato subito dopo la sentenza.

La mossa della Cassazione non soddisfa la squadra guidata dal pm Raffaele Guariniello: il pg Carlo Destro aveva chiesto alla Suprema Corte di respingere il ricorso dalla procura di Torino, che era contraria alla riduzione delle pene operata in appello e che voleva la condanna di Espenhahn per omicidio volontario con la formula del dolo eventuale (sarebbe stata la prima volta in Italia in un processo per un incidente sul lavoro). E' vero che l'attività della filiale piemontese della Thyssenkrupp, in quegli ultimi mesi prima della smobilitazione e del trasferimento a Terni, fu caratterizzata da "grandissima sconsideratezza".

"Si volle continuare a produrre - ha detto - senza adeguate misure di sicurezza ma risparmiando quanto più possibile in vista dello smantellamento dell'impianto che sarebbe dovuto avvenire nel febbraio 2008, due mesi dopo il tragico rogo". Ma è altrettanto vero, secondo il magistrato, che "i manager e i dirigenti chiamati a vario titolo a rispondere della morte dei sette operai facevano affidamento sulla capacità dei lavoratori di bloccare gli incendi che quasi quotidianamente si verificavano nell'acciaieria, e chi agisce nella speranza di evitare qualcosa, se quel qualcosa si verifica, non può averlo voluto".

Durante l'udienza non è stato risparmiato, da parte degli avvocati difensori, un cenno alla dolorosa polemica sul ruolo giocato dalle stesse vittime: "Quella notte - ha detto Coppi - gli operai erano impegnati in una discussione fra loro e sono intervenuti in ritardo a spegnere l'incendio". "Gli imputati - è stata la conclusione - non avevano previsto che sarebbe potuta accadere una cosa del genere. Piccoli incendi si innescavano tutti i giorni ma venivano facilmente controllati. La colpa vera è quella di non aver previsto tutte le eventualità che sarebbero potute accadere".

Torce umane - Davanti agli occhi dei soccorritori c'era uno spettacolo raccapricciante. "Ho visto l'inferno, una scena tremenda. Erano avvolti nelle fiamme e gridavano 'Aiutatemi, muoio'. Ma era impossibile avvicinarsi, tirarli fuori", raccontò Giovanni Pignalosa, accorso da un altro reparto e intossicato dai fumi. Un operaio, Antonio Schiavone, morì quasi subito. Agli altri - Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi, il più giovane con i suoi 26 anni - toccarono giorni o settimane di straziante agonia.