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Il ritorno a casa di Pollicardo e Calcagno: il pensiero dei due ai colleghi morti in Libia

Dopo 8 mesi di prigionia in Libia, i due tecnici sono rientrati a casa, uno in Liguria e lʼaltro in Sicilia. Per entrambi uno shock la notizia dellʼuccisione dei compagni Gentiloni: "Entro e non oltre martedì il rientro delle salme di Piano e Failla"

Il ritorno a casa di Pollicardo e Calcagno: il pensiero dei due ai colleghi morti in Libia - foto 1
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Dopo 8 mesi di prigionia in Libia, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno sono tornati a casa: il primo a Monterosso, nello Spezzino, il secondo a Piazza Armerina, nell'Ennese.

"La prima cosa che ha fatto - ha raccontato jasmine, la figlia 18enne di Pollicardo - è stata abbracciare il nonno. Poi ci ha raccontato quello che è successo". Calcagno, invece, ha mangiato solo una minestra e non ha raccontato nulla ai parenti: "E' ancora troppo provato".

Pollicardo, brindisi con gli amici - Pollicardo e Calcagno hanno saputo solo domenica sera della morte dei colleghi Salvatore Failla e Fausto Piano, che erano stati rapiti con loro. E anche per questo i due tecnici non se la sono sentita di festeggiare. Lunedì mattina Pollicardo ha fatto una passeggiata in paese e un brindisi con gli amici. Ma, spiega la moglie Ema, "Sono contenta ma è una gioia velata di tristezza. Sarebbe stata vera gioia se fossero tornati tutti e quattro".

Domenica, però, "tutto il paese si è stretto intorno a lui e ai suoi familiari - ha raccontato il sindaco di Monterosso, Emanuele Moggia -. Già prima dell'arrivo, quando si è sparsa la voce che erano a Roma e sarebbero tornati a casa in serata, gli abitanti sono scesi in strada e hanno iniziato a radunarsi sotto la sua abitazione. Quando Gino è arrivato in macchina erano tutti lì ad aspettarlo, c'era grande confusione e gli sono stati tributati cori e striscioni. E' stata sicuramente una giornata molto intensa anche perché quella di Monterosso è una comunità molto coesa, ci conosciamo tutti e siamo quasi tutti parenti. Gino era molto stanco ma felice e dopo 8 mesi posso immaginare cosa abbia provato a rivedere il suo paese e a rientrare nella sua casa".

Lunedì mattina, uscendo da casa per la sua prima passeggiata in paese dopo il ritorno, Pollicardo ha detto che "la prima cosa che farò sarà andare a salutare mia mamma al cimitero. Credo che una mano ce l'abbia messa anche lei". Ma intanto, ha spiegato, "il pensiero va alle famiglie" dei due colleghi uccisi.

Per Calcagno una serata di silenzio - "Ieri - racconta invece Filippo Miroddi, sindaco di Piazza Armerina - i familiari di Calcagno mi hanno chiamato dicendomi che Filippo non era in condizioni di sostenere alcun festeggiamento perché era psicologicamente provatissimo. Tra l'altro aveva appena saputo della morte dei colleghi, quindi era terrorizzato, aveva avuto questa sorta di grande dolore. E poi ha perso quasi 40 chili e molto molto provato fisicamente e psichicamente".

Anche il fratello, Rosario, conferma che il congiunto è molto provato: "Filippo ieri ha voluto mangiare una minestra. E' l'unica cosa che riesce a mangiare. Non ci ha raccontato nulla. Non è in grado in questo momento sia fisicamente che moralmente. Ancora deve superare questo momento, non è facile".

Solo con il parroco l'uomo si è aperto: "Filippo - ha raccontato il sacerdote, don Filippo Bognanni - sta bene e ha tenuto a precisare che ha pregato tutti i giorni la Madonna. Ha portato dalla prigionia un souvenir per la Madonna. Non vi dico che cos'è. Non vi importa saperlo".

Solo lunedì mattina Calcagno ha parlato con i giornalisti, raccontando di aver "sofferto la fame, la sete, le percosse, pugni, colpi di fucile, abbiamo dovuto fare i bisogni dentro una cosa di plastica". Ma ora "vorrei che per prima cosa si ricordassero i colleghi che non ci sono più, Fausto Piano e Salvatore Failla, perché immagino le famiglie cosa stanno provando adesso. Perciò il ricordo deve andare a loro. Noi abbiamo avuto la fortuna di tornare, loro no".

Proprio di uno dei due uccisi Calcagno ha ricordato che "abbiamo parlato di tutte le nostre cose, di tutto, di cosa fare quando saremmo tornati perché ci credevamo nel nostro ritorno. Specialmente negli ultimi tempi Salvatore Failla aveva una fiducia ... Diceva 'dai, tranquilli. Ce la facciamo'".