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Omicidio Varani, Manuel Foffo condannato a 30 anni

Il padre della vittima: "Non è giustizia piena". Lʼabbreviato ha permesso a Foffo la riduzione di un terzo della pena, col rito ordinario avrebbe rischiato lʼergastolo

Trent'anni di reclusione: è la condanna arrivata nel processo con rito abbreviato a carico di Manuel Foffo, reo confesso dell'omicidio di Luca Varani avvenuto nel marzo del 2016.

Foffo è ritenuto colpevole di omicidio volontario aggravato da crudeltà. Il corpo di Varani fu straziato con martello e coltelli da cucina. Il pm aveva chiesto 30 anni. A pronunciare la sentenza il gup Nicola Di Grazia.

Ai genitori di Varani 200mila euro di provvisionale - Foffo dovrà pagare una provvisionale di 200mila euro ai genitori di Luca Varani, in attesa del processo civile che dovrà stabilire l'entità esatta del risarcimento dovuto al padre e la madre del ragazzo. Il processo a carico di Prato comincerà invece il 10 aprile davanti ai giudici della Prima sezione della Corte d'Assise di Roma.

Padre vittima: non è giustizia piena - "Sono amareggiato, non è giustizia piena. Questi omicidi non possono essere giudicati col rito abbreviato". Lo ha dichiarato il padre di Luca Varani subito dopo la sentenza. L'abbreviato ha permesso a Foffo la riduzione di un terzo della pena, col rito ordinario avrebbe rischiato l'ergastolo.

Dettagli macabri - Varani, 23 anni, fu ucciso la mattina del 4 marzo 2016 in un appartamento alla periferia est di Roma, in via Igino Giordani. Secondo la ricostruzione della procura di Roma, i due imputati "dopo aver fatto entrambi ripetuto uso di sostanze alcoliche e stupefacenti nei giorni antecedenti l'evento", la notte del 3 marzo, erano usciti dalla casa di Foffo e avevano "girato in macchina per la vie di Roma alla ricerca di un qualsiasi soggetto da uccidere o comunque da aggredire al solo fine di provocargli sofferenze fisiche e togliergli la vita".

Tornati a casa, all'alba del 4, hanno chiamato Varani invitandolo a recarsi nell'appartamento. Una volta arrivato nell'abitazione, i due lo "hanno fatto denudare", scrive il pm Francesco Scavo, per ottenere una prestazione sessuale e gli hanno offerto una bevanda con una dose di psicofarmaco che "lo stordiva a tal punto da costringerlo a recarsi in bagno": lì ha avuto inizio l'atroce massacro che si è concluso, due ore dopo, in camera da letto, con la morte del ragazzo.

Tracce biologiche di entrambi sono presenti sulle armi, almeno tre, usate per uccidere Varani e questo farebbe cadere la tesi dei difensori di Prato secondo i quali il pr romano non avrebbe partecipato attivamente all'omicidio. La vittima è stata colpita un centinaio di volte con martello e coltelli: prima un colpo alla testa, con il quale il giovane dopo esser stato drogato, è stato stordito. Secondo il referto dell'autopsia gli assassini si sono prima accaniti con le martellate su testa e bocca del giovane.

Poi hanno tentato di strangolarlo con una corda di nylon e subito dopo, con almeno due coltelli da cucina, gli hanno massacrato la gola aprendola completamente senza però tagli letali. Il corpo di Luca presentava almeno trenta ferite, meno profonde, su petto e testa che gli sono state inferte forse solo per vederlo soffrire. La vittima è morta dissanguata, e solo allora, dopo quasi due ore di sevizie, gli assassini hanno smesso di infierire sul suo corpo.

Secondo quanto raccontato da Foffo, che confessò l'omicidio il giorno dopo averlo commesso, dopo la morte del ragazzo i due amici dormirono a fianco del cadavere per circa sei ore. Poi, nel pomeriggio del 4 marzo, lasciarono la casa per liberarsi degli abiti sporchi di sangue e del telefono cellulare della vittima.

"Volevamo far male a qualcuno" - Quella notte Prato si fece accompagnare dall'amico in un albergo di piazza Bologna, dove sabato, a quanto raccontò, avrebbe tentato il suicidio con un mix di alcol e barbiturici. Foffo invece passò la notte nell'appartamento del massacro, dormendo su un divano, a pochi metri dal cadavere.

La mattina del 5 marzo, Foffo raccontò al padre quanto accaduto e decise di costituirsi. Fu lui a portare i carabinieri nella casa dove il corpo della vittima giaceva da un giorno e mezzo. Quando gli inquirenti gli chiesero perché avesse ucciso il giovane, lui rispose solo: "Volevamo fare male a qualcuno".