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Shalabayeva, questore Rimini e capo Sco indagati per sequestro di persona

La donna e la figlia del dissidente kazako Ablyazov, ha affermato la Cassazione in una sentenza del luglio del 2014, non dovevano essere espulse dallʼItalia

alma shalabayeva
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Sequestro di persona è il reato contestato dai pm di Perugia, per il caso Shalabayeva, al capo dello Sco Renato Cortese, al questore di Rimini Maurizio Improta, a cinque poliziotti e al giudice di pace Stefania Lavore. La moglie del dissidente kazako Ablyazov, che era nel nostro Paese con la figlia Aula di sei anni, venne espulsa dall'Italia nel giugno di due anni fa. Agli indagati sarebbe stata notificata un'informazione di garanzia in merito.

Le accuse nei confronti di Cortese e Improta sono riferite a quando i due erano rispettivamente il capo della squadra mobile di Roma e il capo dell'ufficio stranieri della questura della Capitale. Con la stessa accusa, nel registro degli indagati della procura perugina - competente ad indagare in quanto è coinvolto un giudice del distretto di Roma - compaiono poi Luca Armeni e Francesco Stampacchia, all'epoca rispettivamente dirigente della sezione criminalità organizzata e commissario capo della squadra mobile di Roma, Vincenzo Tramma, Laura Scipioni e Stefano Leoni, tre poliziotti in servizio presso l'ufficio immigrazione.

Nell'informazione di garanzia inviata agli otto, secondo quanto si apprende, si sosterebbe che i poliziotti e il giudice di pace, in concorso con alcuni funzionari dell'ambasciata del Kazakistan di Roma, il 31 maggio del 2013 avrebbero sequestrato la Shalabayeva e sua figlia di sei anni nella villa di Casal Palocco a Roma e successivamente le avrebbero espulse.

La donna e la figlia, ha affermato la Cassazione in una sentenza del luglio del 2014, non dovevano essere espulse dall'Italia e il provvedimento di rimpatrio era viziato da "manifesta illegittimità originaria".