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Eterologa, primo ricorso in Consulta di una coppia gay

Il tribunale di Pordenone ha accolto la richiesta di due donne di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle norme che vietano lʼaccesso alla fecondazione assistita alle coppie omosessuali

Eterologa, primo ricorso in Consulta di una coppia gay - foto 1
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Sarà sottoposta per la prima volta alla Corte costituzionale la questione della fecondazione assistita alle coppie gay.

Il Tribunale di Pordenone ha infatti accolto la richiesta di una coppia di donne omosessuali di sollevare davanti alla Consulta la questione di legittimità costituzionale delle norme che vietano in Italia l'accesso alla procreazione assistita anche alle coppie gay.

Alla coppia di donne era stato rifiutato l'accesso alle tecniche di fecondazione artificiale dal Servizio per i trattamenti di procreazione medicalmente assistita presente nell'Azienda sanitaria 5 di Pordenone. Di fronte al diniego della struttura pubblica, le due donne avevano chiesto al giudice, qualora non fosse stato possibile in via diretta - ovvero con un'interpretazione costituzionalmente orientata - superare il rifiuto dell'Azienda sanitaria, di investire della questione la Corte costituzionale, al fine di dichiarare formalmente l'incostituzionalità di tale divieto.

Il giudice pordenonese ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione posta dall'avvocato Maria Antonia Pili stante il palese contrasto del divieto con gli articoli 2, 3, 31 comma 2 e 32 comma 1 della Costituzione nonché con l'articolo 117 comma 1 della Costituzione in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (Cedu).

"Sarà ora la Corte costituzionale - ha commentato il legale - a pronunciarsi su tale discriminazione basata esclusivamente sull'orientamento sessuale delle persone, ormai intollerabile anche nel nostro Paese dati i precedenti sia legislativi sia giurisprudenziali intervenuti in tale ambito. Siamo fiduciosi sull'accoglimento della nostra istanza e sul riconoscimento che negare tale procedura agli omosessuali è una discriminazione inaccettabile".

Azienda sanitaria: "Vicenda può essere da apripista" - "La questione sollevata da queste due donne è molto delicata e per questo è significativo che sia stata chiamata a pronunciarsi la Consulta". Così il direttore generale dell'Azienda sanitaria 5, Giorgio Simon, da cui dipende la struttura operativa che ha negato la procreazione medicalmente assistita ad una coppia di donne omosessuali. "E' chiaro a tutti che questa vicenda può fare da apripista - ha aggiunto - perché se venisse accolta l'istanza di questa coppia potrebbero aprirsi nuovi scenari, anche di altri generi che non possono fruire di questa opportunità, ora riservata a persone maggiorenni di sesso diverso".