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Csm: Di Matteo lascia Palermo per la Direzione nazionale antimafia

La domanda del pm del processo sulla trattativa Stato-mafia in passato era stata respinta due volte

Dopo 18 anni il pm Nino Di Matteo lascia la procura di Palermo per trasferirsi a Roma, alla Direzione nazionale antimafia.

All'unanimità il plenum del Csm gli ha dato uno dei cinque posti da sostituto messi a concorso alla Superprocura guidata da Franco Roberti. L'addio a Palermo non equivale però a un abbandono del processo Stato-mafia. Su richiesta del procuratore di Palermo Lo Voi e con l'ok di Roberti, Di Matteo può restare infatti pm nel processo.

Oltre a Di Matteo, negli uffici di via Giulia arrivano anche Maria Cristina Palaia, Francesco Polino e Barbara Sargenti, attualmente sostituti procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Roma e Michele Del Prete, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.

Non è la prima volta che Di Matteo presenta una domanda per la Pna: nell'aprile 2015, però, il Csm aveva bocciato la sua candidatura preferendogli la pm di Bari, Eugenia Pontassuglia, il sostituto procuratore napoletano Marco Del Gaudio, e il sostituto Pg di Catanzaro Salvatore Dolce. A luglio 2016, invece, la seconda domanda del magistrato palermitano era stata respinta per vizi di forma.

Cinquantasei anni, in servizio dal 1991 in magistratura, Di Matteo ha iniziato la sua carriera alla procura di Caltanissetta. Nel 1994 è entrato nel pool incaricato di seguire le indagini sulle stragi in cui hanno perso la vita Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Ha istruito il Borsellino ter e il cosiddetto via d'Amelio bis nei confronti di Salvatore Riina e altri imputati. Sua anche l'inchiesta costata il primo ergastolo al capo dei capi di Cosa Nostra: quella sull'omicidio del giudice Antonino Saetta; così come sue sono state le indagini che nel 1996 hanno fatto riaprire l'inchiesta sulla strage di via Pipitone in cui perse la vita Rocco Chinnici.

Trasferito alla procura di Palermo nel 1999, Di Matteo si è occupato tra l'altro dell'omicidio del giovane collaboratore del Sisde Emanuele Piazza, di quello di Pio La Torre e del procedimento a carico del generale Mori e del colonnello Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, finito con l'assoluzione dei due imputati.

Negli ultimi anni Di Matteo ha legato il suo nome all'inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia: il processo è in corso e vede tra gli imputati politici come Calogero Mannino (assolto a dicembre), Marcello dell'Utri e l'ex ministro Nicola Mancino; ufficiali come Antonio Subranni e Mario Mori, e boss mafiosi come Totò Riina, Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca.

Per le sue indagini, Di Matteo è stato più volte minacciato da Cosa Nostra, tanto che il Viminale ha predisposto a sua tutela un sistema di sorveglianza speciale dotato del bomb jammer, un dispositivo che neutralizza le attivazioni a distanza di ordigni esplosivi. Nel 2014 Totò Riina, intercettato in carcere, disse di volere per lui "la fine del tonno". In seguito il pentito Vito Galatolo parlò dell'acquisto di un carico di tritolo da usare per un attentato al pm. L'ultimo allarme e' di qualche mese fa: "Lo devono ammazzare" disse di lui un mafioso parlando con la moglie e non sapendo di essere intercettato.