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Cassazione: dipendente licenziabile per profitto, anche senza crisi

La sentenza ribalta la decisione della Corte dʼAppello, che aveva giudicato illegittima lʼestromissione dal lavoro di un manager in un resort in Toscana. Eʼ la prima volta nel nostro ordinamento

Licenziamento per profitto.

Questa la nuova e rivoluzionaria fattispecie di licenziamento riconosciuta, per la prima volta nel nostro ordinamento, dalla Cassazione. Con la sentenza n. 25201 del 7 dicembre 2016 recidere un contratto di lavoro sarà possibile non solo nei casi "straordinari" di crisi, ma anche in quelli "ordinari" in cui l'azienda decide di sopprimere una funzione per aumentare la redditività e quindi, in ultima istanza, il profitto.

Accolto il ricorso di un resort - Gli ermellini hanno accolto il ricorso di un resort di lusso della Toscana contro la decisione della Corte di Appello di Firenze che aveva giudicato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con il quale era stato estromesso uno dei manager al quale la corte fiorentina - diversamente dal giudice di primo grado - aveva riconosciuto il diritto a ottenere quindici mensilità. Invece, secondo il Tribunale il licenziamento era legittimo in quanto "effettivamente motivato dall'esigenza tecnica di rendere più snella la cosiddetta catena di comando e quindi la gestione aziendale".

La Corte di Appello aveva ribaltato la sentenza di primo grado - Un punto di vista non condiviso dalla Corte di Appello che ha ritenuto non sufficiente la dimostrazione dell'effettività della riorganizzazione in mancanza della prova, da parte del datore, dell'esigenza di fare fronte a uno stato di crisi o a spese straordinarie. In poche parole, secondo la corte di secondo grado, il licenziamento era mascherato dalla foglia di fico del riassetto di impresa ma in realtà era motivato solo "dalla riduzione dei costi e, quindi, dal mero incremento del profitto".

La Cassazione ribalta il giudizio di secondo grado - Questa motivazione non è stata condivisa dalla Cassazione che ha disposto l'annullamento con rinvio del verdetto che aveva stabilito che di licenziamento illegittimo si trattava con diritto a quindici mensilità. Ora la Corte di Appello dovrà rivedere la sua decisione e tenere in considerazione, anche solo per riformulare le motivazioni, i principi fissati dalla Cassazione.

La sentenza degli ermellini - "Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della I. n. 604 del 1966, l'andamento economico negativo dell'azienda - afferma la Cassazione - non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, tra le quali non e' possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell'impresa, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa".

"Ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l'esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso - conclude la massima di diritto della Suprema Corte - può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall'imprenditore".