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La timidezza? E' quasi una fortuna

A Tgcom lo psicologo Walter La Gatta

In tempi di reality show, di panni sporchi lavati davanti a milioni di telespettatori, c’è ancora chi chi arrossisce se viene interpellato da uno sconosciuto, chi ha la tachicardia al solo pensiero di salutare la persona che vorrebbe invitare a cena, chi suda copiosamente ad un colloquio di lavoro.

“La timidezza c’è sempre stata, solo che è cambiata la sua percezione” dichiara a Tgcom il dottor Walter La Gatta, psicologo-psicoterapeuta e responsabile scientifico del sito clinicadellatimidezza.it.

Dottor La Gatta, il sito è stato fondato nel 2002. Cosa trova il lettore nelle sue pagine?
“Rappresenta il braccio operativo del nostro lavoro che si sviluppa anche attraverso studi che compiamo in questo settore. E’ un sito di divulgazione con consulenze online, le lettere dei lettori e le nostre risposte, con la spiegazione della timidezza e delle fobie sociali, con l’illustrazione delle attività con le quali cerchiamo di essere di supporto alle persone che si trovano in difficoltà, con test psicologici. Per le molte persone che, purtroppo, non riescono a trovare soluzioni al proprio problema, offriamo le cure direttamente nel studio di Ancona".

Che cos’è la timidezza?
"La timidezza non è una malattia, ma è un lato della personalità di alcune persone che non riescono a essere sufficientemente in linea con le richieste che la realtà impone loro. In questa situazione trovano così forti limiti a potersi esprimere, a poter dare la migliore prestazione possibile nelle cose che fanno. La timidezza è un limite alle proprie prestazioni. Quando poi il problema supera determinate soglie, si passa dalla timidezza alla fobia sociale. Si giunge ad un aspetto patologico della personalità per il quale una terapia è necessaria. Parliamo di fobie sociali ( ansia, vergogna, balbuzie, ecc.) quando si pongono limiti alle nostre attività personali e lavorative. Quando non si riescono più a sostenere determinate situazioni o persone. Quando non si riesce più a mantenere il proprio controllo e si subiscono le manifestazioni emotive".

Quali sono le manifestazioni emotive della timidezza e delle socio fobie?
"La sintomatologia è caratteristica: sudorazione eccessiva, in particolare alle mani che diventano fredde, respirazione affannosa, tachicardia, rossore in viso".

Perché arrossire ci fa sentire così male?
"Il rossore è un limite sociale importante: viene vissuto come il manifestarsi, lo svelare all’altro la propria fragilità. Una debolezza nelle prestazioni che, magari, in realtà non esiste neppure. Questo timore di scoprirsi deboli e inadeguati porta a evitare i contatti sociali, lavorativi fino a sfociare nella patologia".

Le statistiche sulla timidezza cosa dicono?
"In base alla nostra ultima ricerca del 2009 su un campione di circa 600 persone in Rete possiamo affermare che non c’è differenza tra uomini e donne. La differenza sta invece nella risposta sociale: se per la donna è accettato che possa rispondere con timidezza a un momento imbarazzante, perché si ritiene che la timidezza sia insita nella femminilità, nell’uomo questo non è accettato. La timidezza in un uomo è vista come un elemento di fragilità, di debolezza che lo penalizza. Andando ad osservare le fasce di età, quelle più coinvolte dal disturbo sono l’adolescenza (l’80% dei teen-ager denuncia di avere sofferto questo disagio) e quella tra i 25 e i 40 anni indifferentemente per uomini e donne".

Rispetto a 10-20 anni fa come sono considerati questi tipi di disturbi?
"Sono più o meno tollerati di un tempo? Oggi abbiamo una realtà più difficile da gestire, più competitiva, più complessa e quello che 10-20 anni fa poteva essere un aspetto marginale dell’esistenza sociale oggi viene percepito in modo molto più marcato come un serio limite al proprio sviluppo personale".

La timidezza pone più problemi nella sfera privata, di coppia o nel campo lavorativo?
"Il problema è che la timidezza non ha confini. Coinvolge tutta la sfera personale e porta a limitare le proprie esposizioni pubbliche: a rinunciare ad andare al cinema, a cena con gli amici, in discoteca. A ritenere invalicabili i rapporti con l’altro sesso. Ma dall’altro rappresenta anche un limite lavorativo perché quando c’è l’opportunità di un avanzamento di carriera con la realizzazione e un coinvolgimento personale maggiore, la persona è portata a rinunciare magari a favore di un collega magari anche meno preparato, ma che sa gestire meglio le proprie emozioni. Un limite che impedisce lo sviluppo personale e professionale".

Come viene curato il problema dal vostro centro?
"Con le terapie tipiche dell’armamentario della psicologia: con la psicoterapia individuale di orientamento cognitivo comportamentale, con le tecniche che posso aiutare a gestire le emozioni come l’ipnosi, l’autoipnosi, il training autogeno che si applicano alla patologia e che servono a migliorare il controllo delle emozioni che porta con sé anche il controllo dell’ansia che scaturisce dalle emozioni. Perché è l’ansia che impedisce di dare la migliore prestazione. L’emozione di gioia nell’incontrare la ragazza che si vorrebbe invitare a cena scatena anche un’emozione di ansia molto elevata che non si riesce nemmeno a chiamare per nome la ragazza per chiederle di uscire. Oppure il conflitto emotivo è talmente forte quando si viene chiamati dal capufficio che ci offre un incarico migliore da non riescire a spiaccicar parola nemmeno per rispondere “sì” o “no”.
In questo momento, da un lato si spettacolarizza la vita privata – trionfano i reality, le trasmissioni in cui le vicende private, intime, vengono messe in piazza – e dall’altro continuano a sussistere i timidi…
"I timidi sono sempre esistiti. Se l’incidenza epidemiologica è la stessa nel corso degli anni, la percezione cambia in relazione ai modelli sociali che ci sono intorno. Di fronte ad un modello sociale in cui tutto va svelato, tutto va messo in onda, il timido si trova in difficoltà. Si sente ancor più inadeguato. Mentre la ragazza timida degli anni Cinquanta non faceva nemmeno caso alla propria timidezza, che veniva ritenuta insita nell’indole femminile, oggi una ragazza timida si sente particolarmente limitata nell’esprimersi. Perché non è ammissibile che una ragazza arrossisca perché vede passare il ragazzo che le piace. Mentre 30 anni fa era una cosa del tutto normale".

Lei si occupa di psicologia del selezione del personale. Può dare un consiglio a chi sostiene un colloquio di lavoro?
"Di fronte a una situazione di particolare importanza della prestazione che si sta per esprimere, la cosa principale per una persona timida è non rimanere concentrati su se stessi, perché sarebbe un errore. Perché è sufficiente sentire accelerare un poco il battito cardiaco, che il respiro si faccia un pochino più affannoso ed ecco che la persona incomincia a pensare di sentirsi male o di non ricordare più nulla di ciò che deve dire. Purtroppo è una profezia che si avvererà. Quindi mai rimanere concentrati sulle proprie percezioni, ma cercare di rimanere concentrati sul compito e sull’altro evitando di osservarsi con troppa attenzione come invece fa la persona timida. E’ già un buon modo per limitare le conseguenze. Anche guardando il nostro sito, prendendo coscienza del fatto che il problema della timidezza ci accomuna a tanti altri è già in qualche modo terapeutico".

L’essere timidi è solamente un fatto negativo?
"No, anzi, è quasi una fortuna: le persone timide sono sempre molto intelligenti, molto autocritiche, molto consapevoli dei propri limiti. In generale sono persone di grosso valore e che purtroppo non riescono ad esprimere completamente a causa di questa eccessiva critica verso se stessi, di questo eccessivo tentativo di auto svalutazione. Non sono mai completamente convinte di quello che stanno per fare anche se sono bravissime".

Elisabetta Carli