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Caso Eluana, scoppia la polemica

Eutanasia o no?La sentenza fa discutere

Come per Terry Schiavo, la donna americana ridotta in stato vegetativo alla quale venne sospesa l'alimentazione forzata, anche la sentenza sul caso di Eluana Englaro ha innescato una ridda di polemiche tra chi crede che staccare le macchine sia un gesto di civiltà e rispetto nei confronti della ragazza e chi, invece, condanna fermamente quella che interpreta come una forma di eutanasia.

Per monsignor Rino Fisichella, neopresidente della Pontificia accademia per la vita, la decisione dei giudici giustifica "di fatto un'azione di eutanasia". La sentenza però, sottolinea il prelato, "può essere impugnata presso una corte superiore", dando la possibilità di "ragionare con maggiore serenità e meno emotività". Monsignor Fisichella si dice però anche "amareggiato e stupito": amareggiato "per come si risolverà purtroppo una vicenda di dolore, perché Eluana è ancora una ragazza in vita, il coma è una forma di vita e nessuno può permettersi di porre fine a una vita personale". Poi, "profondo stupore, per come sia possibile che il giudice si sostituisca in una decisione come questa alla persona coinvolta, al legislatore, perché non mi risulta che in Italia ancora ci sia una legislazione in proposito".

Dello stesso avviso Renato Farina, deputato del PdL, che polemizzando con i giudici ("chi ha dato loro una simile potestà?", si domanda) chiede l'intervento del presidente della Repubblica affinché "conceda la grazia ad Eluana". Critica anche il sottosegretario al Welfare con delega alla Salute, Eugenia Roccella, secondo la quale "la Cassazione che ha stabilito criteri sorprendenti e inquietanti: si può decidere di interrompere una vita umana sulla base della ricostruzione di una volontà presunta, desunta da dichiarazioni generiche, legate a carattere e stile di vita". Un fatto, rileva, "estremamente grave per quanto riguarda il rispetto della libertà della persona".

Di avviso opposto l'associazione Luca Coscioni, secondo cui "finalmente, dopo sedici lunghi anni, la Cassazione e ora la Corte di Appello di Milano hanno ristabilito lo stato di diritto, riconoscendo la piena libertà di scelta di Eluana Englaro, libertà sancita dall'articolo 32 della Costituzione Italiana oltre che dalla Convenzione di Oviedo". Sulla stessa lunghezza d'onda anche il leader dei Radicali, Marco Pannela, che parla dell'affermazione "della civiltà giuridica, umana e politica. E' quell'amore civile, con ardore e passione, che noi evochiamo da sempre, e oggi viene premiata l'attesa di tanti anni".

E mentre per il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, la decisione della Cassazione e della Corte d'Appello di Milano "determinano una lesione inaccettabile dei principi posti a tutela della vita umana, scavalcando i limiti che in passato gli stessi sostenitori dell'eutanasia avevano indicato come insuperabili", Demetrio Neri, Ordinario di Bioetica all'Università di Messina e Membro del Comitato Nazionale per la Bioetica spiega di aver accolto la decisione "con grande gioia, perché so che la ragazza aveva effettivamente espresso il desiderio, quando era in vita, di non essere tenuta in queste condizioni. 16 anni di stato vegetativo persistente, da un punto di vista scientifico vanno oltre ogni limite immaginabile: solitamente, la comunità scientifica dopo due anni dichiara la persistenza del caso senza nessuna possibilità di recupero".

Proprio sull'impossibilità di recupero batte il medico curante di Eluana, Riccardo Massei, direttore del reparto Anestesia e rianimazione dell'ospedale Lecco. Che però non si sbilancia nel dare un giudizio morale sulla decisione: "Siamo assolutamente certi che non riprenderà coscienza. Mi aspettavo questa sentenza? Nì, non è né un sì né un no. Credo però che ad averla elaborata siano persone di straordinaria visione morale, sociale ed etica". Il legale della famiglia, Vittorio Angiolini, spiega invece che il pronunciamento "distingua con molta precisione tra il caso di Eluana e l'eutanasia. E' diverso sospendere un trattamento invasivo, e come tale già riconosciuto come rifiutabile dal paziente, rispetto ad agire o omettere azioni che portano qualcuno alla morte". Una distinzione "di sostanza": chi polemizza su questo, secondo il legale, "rende un cattivo servizio a una causa giusta. E' paradossale che venga riconosciuto il diritto di rifiutare un trattamento medico a tutti tranne che a chi non può rifiutarsi proprio perché in stato vegetativo. Una persona che va comunque tutelata nei suoi diritti".