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Izzo, "La società mi deve aiutare"

Ecco il primo capitolo del suo libro

Questo il primo capitolo del manoscritto di "The Mob - La banda dei pariolini", l'autobiografia che Angelo Izzo sta scrivendo con Giuseppe Pittà "The Mob" in inglese significa anche banda criminale e, sotto, tra parentesi, "La Banda dei Pariolini". Poi:

"Questo libro e' dedicato a Danilo Abbruciati, Gialuigi Esposito, Valerio Viccei, Alberto Spaggiari, Pasquale e Rolando Battistini. Per loro le parole che il termidoriano Lacointre rivolse a Saint'Just e Robespierre quando furono assassinati, pensando di insultarli: 'Essi morirono come vissero, senza temere il fato'. Questo e' un romanzo quindi ogni riferimento a fatti e personaggi realmente esistiti o esistenti e' puramente casuale. Se qualcuno si ostina a volersi riconoscere si tranquillizzi: gli autori non faranno il suo vero nome neanche sotto tortura. Ai pochi personaggi reali gli autori hanno attribuito discorsi o esistenze di pura invenzione".

Segue l'elenco con i titoli dei 21 capitoli: "L'inizio", "L'uovo del drago", "A Marsiglia", "Primo Sangue", "Scatenati", "El lobo", "I ragazzi della strategia della tensione", "Apogeo e decadenza", "I titoli indonesiani", "San Crispino", "Il massacro di Fregene", "All'ergastolo", "Nell'Italia dei misteri", "Il Jokey e' tornato", "La dissociazione", "I pescecani nell'acquario", "Amore e liberta"', "Morire per Zagabria", "La latitanza", "All'inferno", "Seppellite il mio cuore".

Poi il testo:

"Carcere di Campobasso 2000".
"E' notte, sto aspettando in questi giorni risposta alle mie istanze di semi-liberta' e 'permessi', per poter uscire dal carcere dove ho scontato 25 anni. Il mio passato e' stato un susseguirsi di errori, tragedie e fallimenti ed in questo modo ho distrutto non solo la mia vita, ma anche quella di quanti hanno gravitato nella mia sfera affettiva. Le mie scelte sono state spesso folli e sciagurate dettate da motivazioni tutt'altro che nobili, tanto che oggi non posso che provarne incredulita' e vergogna.

La societa' per questa ragione mi ha punito ed emarginato in modo impietoso, infliggendomi l'ergastolo all'eta' di ventidue anni: e' stato giusto cosi'. Ma ora sento di aver 'pagato' il mio debito. La societa' dovrebbe tendermi una mano incentivare questo mio faticoso e non facile percorso di reinserimento. Le istituzioni dovrebbero prendere atto con soddisfazione che il carcere mi ha consentito di guardarmi dentro ed in profondita' per poi capirmi ed operare quei cambiamenti che tale istituzione e' preposta a incentivare e realizzare. Ma chissa' i giudici di sorveglianza di Campobasso come la penseranno, chissa' come valuteranno le fredde carte che in modo burocratico riducono la mia vita ad una serie interminabile di reati... sono comunque al termine di quella parte della mia avventura terrena, stavolta sono stanco.

Sono stanco da quella sera del 1993, d'estate da quando mi hanno arrestato a Parigi. C'e' in me una silenziosa disperazione da quando gli specialisti dell'anti-gang della Suretè mi sono saltati addosso, mi hanno disarmato e mi hanno sbattuto a terra. Mi erano addosso in tre, in quattro, e sembrava pesassero direttamente sul mio cuore. Ero sul marciapiede di rue Saint Lazare e mi riempivo gli occhi della mia Montmartre, che non e' quella della tiepida mattinata di sole ai tavolini dei bar o dei cabaret o dei night per turisti, ma il quartiere notturno brulicante di umanita' di tutte le razze chiassoso e frenetico, che si stende ai piedi del Sacre-Coeur a ridosso del muraglione insanguinato degli ultimi fucilati della Comune. Montmartre, Pigalle, Belleville, Quartiere Latino, Montparnasse, Gambetta, Tolbiac quando vi rivedro', pensavo. Non erano le carceri della Sante' o di Fresnes che mi spaventavano, e' che non sopportavo di rientrare nel grigiore di questa vita sospesa che mi aspettava, di questi giorni tutti inutili, di queste notti senza senso. Come amavo disperatamente Parigi, la mia Parigi, la' dove c'e' la mia razza, quella dei ribelli, eterni stranieri, cantati da Villon il poeta vagabondo morto impiccato... quando, quando non avro' i ferri ai polsi... Fui ammanettato a Ferrara e trasferito a sud, piu' a sud fino a Campobasso. Non doveva cambiare molto e' il quarantesimo o il cinquantesimo carcere che mi fanno girare. Ed eccomi su una croma blindata, fra quattro guardie sudate che parlano dei prezzi che aumentano e del tempo molto mite per essere Natale, di D'Alema che al governo non riesce a cambiare le cose. Ed ecco si aprono i cancelli, questo carcere di Campobasso mi sembra una grande scatola grigia, e' un ex convento al centro della citta'.

A occhio mi appare scomodo e piccolino, noioso, ma all'interno vedo un giardino e il brigadiere che mi accoglie, un tipo baffuto e gentile sembra simpatico e umano. Tre ore e sono in sezione. Solita galera. Solita sezione per 'collaboratori di giustizia'. Siciliani, calabresi, napoletani e pugliesi, un cinese, le celle sono enormi, il tetto e' a volta. Siamo ammucchiati in tre per cella, io russo come un trattore saranno contenti i miei compagni di cella. Del resto convivere con me non e' facilissimo, ho una serie di fobie che sarebbero normali in un cinese, e non in un bianco 'occhitondi'.

Secondo me i bianchi puzzano. Odio portare le scarpe in casa o in cella, il latte nel the', i capelli neri, il ghiaccio nelle bevande, i peli del corpo, e basta un chicco di riso irregolare per farmi stare malissimo. Non capisco l'amore per gli animali, alcuni insetti mi fanno vomitare, pero' non ho paura dei topi". 

Il primo capitolo del libro di Izzo prosegue cosi':"ancora un'altra galera, ancora chiuso, in fondo nel mio cuore vuoto vorrei pensare ad altri problemi, tipo se il maiale si accoppia bene con uno Chateau Montbrian blanc del 1989 o se posso provare ad entrare al Ritz, senza cravatta... e invece mi sento disperato, calpestato. Il mio cuore e' freddo come puo' esserlo un fiordo norvegese alle tre del mattino. Noi uomini occidentali trascuriamo la vita in attesa guardando orologi e calendari, incalzando il minuto, l'ora, il giorno, la settimana e il mese e l'anno precorrendo cosi' la morte in questo spreco e insieme pregando che ci sia concesso piu' tempo. Tempo. Forse un tempo ero capace di muovermi nella vita come una forza della natura e allora nulla sembrava avesse la capacita' di abbattermi. Mi muovevo con l'idea di sapere sempre dove andare... Avevo un'aura che mi rendeva un individuo a parte, avevo un potere che nessun passo o parola spavalda o pistola o coltello o abito da quattro milioni era capace di evocare. Venti anni fa, venti chili fa... ora come un qualsiasi pezzo di merda cosa non darei, cosa non baratterei in cambio di un po' di liberta'... chissa' come finira'... tanto tempo fa gli amici per via della mia passione per i viaggi, per il mare, per l'avventura, e per la vela mi misero dei soprannomi, mi chiamavano 'Marinaio' o 'Corto Maltese'. E io come 'Corto Maltese' il personaggio di Pratt mi accorsi di non avere sul palmo della mano la linea della fortuna e allora come avevo letto fece Corto Maltese, il romantico cavaliere del mare, con un rasoio me lo procurai... chissa' se vale?".