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Ancora crisi, si torna in montagna e nei boschi?

Il mercato occupazionale fatica a riprendersi e la soluzione potrebbe essere quella di lasciare le città per tornare nelle campagne; la terra può tornare come grande attività imprenditoriale

Afp

Nello scorso secolo, l'esodo dalle campagne alle città. E se nel futuro prossimo avvenisse il contrario? L'ipotesi non è da scartare, a causa della crisi che in questi anni ha colpito industria e terziario, locomotive dell'economia italiana dai tempi del boom economico. I giovani, laureati e non, faticano a trovare lavoro, chi ha già un'occupazione deve fare i conti con cassa integrazione e mobilità.

Proprio per questo un ritorno all'agricoltura, all'attività rurale e boschiva può essere un trend in crescita in tutto il Paese; il settore primario può aprire spiragli insperati e nuove opportunità. Ne abbiamo parlato con il dottor Pio Rossi, responsabile della Scuola Agraria del Parco di Monza, centro di formazione e aggiornamento per tecnici e operatori del verde, giardinieri, arboricoltori e forestali.

Professor Rossi, qual è la situazione della coltivazione e del ramo agricolo in Italia?

«Gli occupati in campo agricolo sono il 3% dell'occupazione totale e importiamo per il 60%. Si sono creati pregiudizi verso questi lavori, l'attività agricola à vista come faticosa, sporca, poco redditizia. Solitamente poi ci si concentra solo sulla pianura, ma lì manca la mano d'opera e senza le sovvenzioni della Comunità Europea molte aziende dovrebbero chiudere. Esiste però la possibilità di riportare queste basse percentuali rispettivamente al 10 e 40%, ci sono potenzialità per tanti che non sanno più cosa fare e per i giovani che sono alla ricerca di cosa fare».

Quali possibilità offre questo tipo di attività. C'è una tendenza in questo senso?

«E' avvenuto un ritorno dei giovani nell'ambito boschivo. Nel settore c'è stata una certa emergenza, collegata alla crisi dell'edilizia che utilizzava il legname, ma la possibilità di usare certi strumenti e macchine forestali attira di più che lavorare in una stalla ecc; diciamo che queste tecniche fanno più colpo. Nonostante la crisi quindi c'è stato un riavvicinamento al boschivo, da parte soprattutto di giovani del posto, consigliati anche da genitori e conoscenti».

Quali sono gli obiettivi della vostra offerta in questo specifico comparto?

«Vogliamo creare qualcosa di strutturato per favorire la permanenza dei giovani in montagna. L'idea sarebbe di fare una campagna di sensibilizzazione verso l'opinione pubblica, partire dalla campagna per illustrare i pro di questo lavoro. Bisogna avere infatti conoscenze profonde per risolvere i problemi e le variabili della natura. Presentiamo tramite esperienze pratiche come lavora un imprenditore agricolo, cominciando a fare esperienze nel lavoro e nei boschi, in strutture messe a disposizione da enti e privati. Valorizziamo scuola pratiche per l'agricoltura montana, di zootecnica e di produzione di prodotti tipici rinomati, implementando le conoscenze del passato con le scoperte del presente».

Qual è l'assorbimento lavorativo delle persone che seguono questi tipi di corso?

«Prima il 90% trovava un lavoro nel settore, poi la crisi ha abbassato la quota, che comunque ora è circa dell'80%. Si parte come operaio specializzato, per arrivare a capo squadra o capo cantiere. Di fatto, in Italia solitamente manca la preparazione specifica, spesso ci s'improvvisa e poi dopo si approfondisce».